La nuova era della moda, segnata da pandemia e guerra, riparte da un nuovo che vuole essere al passo con i tempi.
Mi spiego.
Il rilancio di nuovi format editoriali ( nella speranza che a leggerli questi giornali ci sia qualcuno e non solo gli inserzionisti) si basa su tre pilastri: pubblicità, prodotto e copertina (ma non basta) .
Lo dicono Raimondo Zanaboni responsabile di Manzoni ed il direttore di D Emanuele Farneti che, presentando il nuovo allegato femminile di Repubblica, sottolineano questi tre aspetti come centrali per il supporto del settimanale, oltre che ai tantissimi testi che portano firme prestigiose ed autorevoli. Profetica Malika Ayane che canta “tre sono le cose…” durante la presentazione del restyling che guarda al passato per scrivere il futuro (con un font forse un po’ piccolo per consentire una lettura fluida dei testi lunghi ndr).
Ironia a parte è vero che per mandare avanti un giornale servono soldi e quindi inserzionisti, serve un prodotto da mettere in evidenza per gratificare quelli di cui sopra e una bella copertina (nel caso di D ne sono state fatte due, ma questa è oramai una consuetudine) che dia un senso al contenuto. La cover è quindi come un titolo, sintetizza in un foglio il personaggio o l’argomento del momento. Potrai anche non sfogliare il giornale, ma non potrai fare a meno di parlare della copertina che ti segnala lo scoop del giorno. Avrai così un argomento di conversazione assicurato alle cene “Hai visto chi c’è sulla copertina di Vogue questo mese ? “
Simone Marchetti, l’uomo di punta su cui tutti puntano (scusate il gioco di parole), che oramai anche quando accendi la televisione lo trovi a parlare di inclusione e diversità in un appassionante monologo, ha da una parte portato sul digitale i contenuti di Vanity Fair in nuovi format originali, ma allo stesso tempo è tornato a fare il giornale come una volta, regalandoci esclusive ed interviste, quelle che ci portavano in edicola a chiedere “E’ già uscito Vanity?”
La mia generazione è nata perseguitando l’edicolante con questa assillante domanda. Prima Topolino, il giornalino di Candy Candy, Tv Sorrisi e Canzoni, Cioè, Cosmopolitan e poi i femminili che erano l’appuntamento atteso per scoprire le tendenze del momento. Insomma l’edicolante è cresciuto con noi, a volte nascondendo ai nostri genitori che facevamo acquisti da adulti.
Ma i giovani di oggi che ne sanno dei giornali? Come fare a parlare il loro linguaggio? La soluzione sembra quella di crare mondi virtuali che possano interagire nello stesso modo. E quindi ecco che la moda si innamora del metaverso, salito alla ribalta con l’annuncio di Facebook che ha nominato META la holding del Gruppo che controlla quasi tutti i social network . Un nuovo mondo, fatto di spazi virtuali e di avatar che vivono in questa nuova dimensione.
In tema di experience è quindi l’ultima novità che la moda ha subito abbracciato creando una vera e propria Metaverse Fashion Week. In una settimana i comunicati stampa sul debutto dei marchi sono arrivati a valanghe, tutti volevano esserci. Peccato che a differenza della grafica della Playstation dove per far giocare a calcio milioni di ragazzini in tutto il mondo i personaggi sono praticamente reali, su Decentraland, la piattaforma dedicata, sembrava di essere tornati indietro di 40 anni quando Nolan Bushnell creò il primo videogioco Atari.
Ora guardate quanto è realistico Cristiano Ronaldo rispetto alla modella della sfilata Etro! Ma siamo solo all’inizio, pensate che sono già arrivati gli influencer virtuali scelti come testimonial. Un esempio Rihanna, che per promuovere il suo brand Fenty Beauty ha scelto Shudu, e Prada e Chanel che hanno collaborato con Lil Miquela.
“Questa nuova realtà è un’occasione imperdibile per avvicinarsi alle nuove e future generazioni, che già da tempo adottano un linguaggio e un’estetica che i brand tradizionali fanno fatica a seguire”, spiega Fabio Betti, CEO & Managing Director di 2MuchTV, agenzia creativa specializzata nell’ideazione e realizzazione di campagne di comunicazione digitali integrate.“Considerando quanto vale oggi il mercato dell’influencer marketing, che muove globalmente circa 14 miliardi di euro all’anno, grazie ai nuovi creator virtuali per le aziende si apriranno diverse opportunità ancora tutte da esplorare”.
Cosa rende questi creator virtuali così interessanti? Perché i brand scelgono sempre più spesso di coinvolgerli nelle loro strategie di marketing, talvolta preferendoli a quelli “umani”? Quali sono i vantaggi e le opportunità? Maggior engagement, costi inferiori e versatilità poiché trattandosi di influencer creati ad hoc, questi profili possono facilmente adattarsi ed evolvere insieme alla brand identity e ai valori dell’azienda.
E se il mondo immaginato da Zuckerberg si dimostrasse un immenso flop? Ci resteranno carta stampata e newsletter che molti stanno avviando solo oggi. Uno strumento che qualcuno sta lanciando come novità, a volte a pagamento, quando di nuovo ha ben poco visto che noi la utilizziamo dal 2002. Aspettiamo quindi che i linguaggi diretti alla generazione Z diventino un mezzo per rinnovare il sistema e non il pretesto per affrontare una crisi profonda.