“In questo tempo di strappi, in cui l’ordine delle cose vacilla e la notte sembra avvolgere ogni cosa, siamo chiamati a un compito difficile: riuscire a scorgere, nell’oscurità, la presenza gioiosa delle lucciole. Le loro scie erratiche e luminose compongono, infatti, una danza d’amore che si staglia contro il buio. Il loro incedere sprigiona bagliori di desiderio e di poesia capaci di nutrire la vita anche nei momenti più cupi.
Non è semplice scorgerle. La loro luce è flebile e volatile. Didi-Huberman ci ricorda che per produrre la luce di una sola candela sono necessarie quasi cinquemila lucciole. È vero. Il loro bagliore nelle tenebre è fugace e intermittente. Scivola inafferrabile nell’oscurità o svapora nella luce artificiale di qualche potente riflettore. È tuttavia necessario non “credere a chi tinge tutto di buio pesto” (M. Gualtieri). Le lucciole non sono scomparse come aveva teorizzato Pasolini. È scomparsa, semmai, la nostra capacità di vederle. Abbiamo ripiegato lo sguardo. Abbiamo rinunciato a discernere profezie luminose e segnali di speranza. Abbiamo indugiato troppo a lungo sul nostro lato d’ombra.
Di fronte a questo rischio, sento la necessità di convocare una festa. Un’adunanza sorridente di scintille e promesse di futuro, un festival di lucciole. In questo spazio, temporaneo e improbabile, si aduneranno giovani menti creative con i loro giuramenti di bellezza. Si scambieranno sguardi, portando in dono scrigni di luce. Immagino questa festa come una costellazione di pietre focaie pronte a incendiarsi. Come una partitura di urgenze espressive capaci di decalcificare un mondo raggelato. È verso questo orizzonte che voglio muovermi, perché mi piace scuotere l’esistente. Sperimentare e dismettere.
Per una settimana, il festival sarà attraversato da uno sciame di storie eccentriche e vitali. Storie capaci di squarci immaginativi e gesti onirici. Storie che mettono al centro l’umano. Ho sempre pensato alla potenza delle storie, al nutrimento che offrono per non soccombere al sonno della lingua, alla capacità che hanno nell’espandere la nostra stessa possibilità di pensarci. In fondo noi siamo le storie che ci raccontiamo. Ho pensato allora di farle danzare tutte insieme su un grande palco. Anche quelle meravigliosamente sottili e fragili, che rischiano di rimanere nell’ombra o di non essere ascoltate. Anche quelle che hanno il fioco bagliore di una lucciola.
È necessario un grande lavoro di cura per costruire un nuovo ordine e far germogliare inedite parentele. È necessario un abbraccio, lento e silenzioso. Quello stesso abbraccio che oggi non possiamo fisicamente scambiarci ma che, dal fondo della sua mancanza, ci ricorda che non possiamo farcela da soli. ” Alessandro Michele
Così il direttore artistico della Maison Gucci spiega il Guccifest, un vero e proprio Festival che dal 16 al 22 novembre ogni giorno, con orario 21,00 oppure 23,30 ( tranne la Domenica alle ore 12,00) propone on line dei cortometraggi di circa 20 minuti in cui si elaborano storie nella storia.
Protagonista di tutti gli episodi è Silvia Calderoni un’attrice di cinema e di teatro, una performer, una scrittrice, una danzatrice, che interpreta i sette episodi “Ouverture Of Something That Never Ended”. Nella prima scena del film la osserviamo mentre si sveglia al mattino nel suo appartamento di Roma, arredato con oggetti vintage.
Così ha inizio il viaggio dello spettatore nell’esistenza di Silvia, intorno a cui si tesse la trama dell’intero film. “La vita di una ragazza a Roma, giorno per giorno” così il regista Gus Van Sant definisce l’asse tematico della serie, e aggiunge: “Silvia Calderoni viene dal mondo del teatro, è una scrittrice, un’autrice, una danzatrice e un’attrice. In ciascun episodio rappresenta il perno attorno a cui ruotano le storie interpretate dagli altri attori. “Sono ossessionato dal rapporto tra realtà e finzione” dice Alessandro Michele, alla regia del film insieme a Gus Van Sant, a proposito del ruolo di Silvia: “E’ un’artista eccezionale, non sarebbe stato possibile realizzare la serie senza di lei. Quando Gus l’ha conosciuta, ha subito visto in lei doti uniche di interprete e performer. Silvia ha portato in scena molte delle sue stesse idiosincrasie personali. Noi l’abbiamo seguita, osservata e ripresa esattamente nella sua essenza”. In una scena fondamentale del primo episodio, Silvia getta un vestito dal balcone di casa. Questa scena ha un significato speciale perché si tratta di un abito della collezione donna Autunno Inverno 2015, la prima di Alessandro Michele per Gucci: un gesto che è “ouverture” of something that never ended, nuovo inizio di qualcosa che non è mai davvero giunto al termine. Questo vestito, insieme ad altri che compaiono nel film, è parte integrante della collezione Ouverture e ha l’esclusiva etichetta “Something That Never Ended”. E mentre il vestito fluttua nell’aria, sentiamo in sottofondo le note di ‘Therefore I Am’ di Billie Eilish, che a sua volta comparirà in uno dei prossimi episodi.