Penso che tutti ci sentiamo a disagio ogni volta che, di questi tempi, guardiamo la televisione. Stentiamo a capire qual è la realtà: quella che ci viene proposta negli spot pubblicitari e nei film o quell’altra che constatiamo nella vita quotidiana? Psicologicamente viviamo tra il timore, molto giustificato, che le cose siano definitivamente cambiate e che ciò che vediamo sullo schermo sia ormai archeologia contemporanea e la speranza, tenue ma tenace, che si possa tornare a vivere, almeno approssimativamente, come si faceva fino al gennaio scorso. Personalmente, ad esempio, non mi è ancora capitato di sognare persone che indossano la mascherina, calzano i guanti e mantengono le distanze di sicurezza. Prima o poi dovrà succedere ma, evidentemente, per ora vivo ancora in una fase di rifiuto del cambiamento e mi pare più un sogno (un brutto sogno) quello che vedo quando mi sveglio. Queste incertezze nell’interpretazione della realtà e della sua evoluzione preoccupano un considerevole numero di persone che vivono nel mondo della comunicazione e dello spettacolo. Esse si interrogano se non è il caso, ad esempio, di produrre film e pubblicità dove i protagonisti siano ormai adeguati alla contemporaneità della vita “distanziata” con annessi e connessi. Per ora siamo in una fase di attesa e di ripensamento e seguitiamo ad assistere a “repliche” di vecchi spettacoli o a trasmissioni surreali su un campionato di calcio inesistente e a esibizioni culinarie registrate, dove nessuno si sogna di indossare mascherine o guanti protettivi. Unico vantaggio: certe trasmissioni oscillanti tra morbosità, curiosità e pettegolezzo con partecipazione collettiva di personaggi più o meno VIP spiati da “Fratelli” più o meno “Grandi” sono sospese, seppure con la larvata minaccia di una ripresa a settembre.
Ognuno comunque ha i suoi problemi nell’adeguare la propria attività alle nuove esigenze sanitarie e anche la progettazione delle automobili deve tenerne conto, soprattutto per quello che riguarda il concetto di “sicurezza attiva”: quella concernente la capacità di un’auto ad evitare che capitino dei guai a chi la usa. Per inciso, la “sicurezza passiva” ci protegge in caso d’incidente (Air Bag, cinture, carrozzeria ad assorbimento d’urto, eccetera) mentre quella “attiva” ci aiuta a evitare gli incidenti (ad esempio ABS, ESP e segnalatori di foratura) ma anche di essere derubati o aggrediti (chiusura centralizzata, antifurti ecc.); quest’ultima caratteristica è molto richiesta, ad esempio, in Paesi come Russia, Brasile e Messico. Naturalmente d’ora in avanti nella “sicurezza attiva” ci si preoccuperà pure che l’automobile possa proteggerci dagli attacchi dei virus influenzali e affini. Innanzitutto si studia come purificare un’automobile che potrebbe avere trasportato elementi infetti (penso soprattutto ai taxi) e poi come evitare che penetrino dall’esterno le particelle capaci di veicolare i virus: la purificazione dell’aria in entrata. Molte delle automobili che vengono vendute nell’Asia continentale sono già dotate di filtri particolarmente efficienti per proteggere dallo smog chi è a bordo ed è assai probabile che tale sistema si estenda presto a tutta la produzione mondiale; in particolare se gli studi, ormai numerosi, che affermano che il Coronavirus può essere trasportato in sospensione dalle “polveri” venissero confermati. Una soluzione più radicale sarebbe il “trattamento specifico” dell’aria in entrata, la quale può essere sottoposta a sistemi di ionizzazione o “bombardata” con raggi UV (senza che colpiscano i trasportati) o trattata con sistemi di ozonizzazione (l’ozono è un potente disinfettante). Sono procedure già utilizzate in ambito sanitario per la purificazione degli ambienti ospedalieri e alimentari che però non sono risolutive per l’emergenza attuale, come ha prontamente precisato il nostro Ministero della Sanità. Finché non si sarà raggiunto qualche risultato sicuro, in merito alle difese efficaci per abbattere l’aggressività del Coronavirus, perdurerà l’incertezza sul da farsi.