L’arrivo al potere di Eduard Peugeot , figlio di Robert Peugeot, rappresenta la nona generazione della dinastia del costruttore francese. Nel maggio 2025, al termine della prossima assemblea generale, verrà nominato presidente del suo consiglio di amministrazione. Dovrà fare i conti con gli altri azionisti di Stellantis – la società che raggruppa ben 14 marchi, francesi e italiani, tra cui Peugeot – impersonando una sicura influenza nella sostituzione di Carlos Tavares, ceo di Stellantis che lascerà la sua posizione nel 2025. I Peugeot non sono l’unica famiglia del settore automobilistico rimasto presente nel capitale dell’industria fondata dai loro antenati. In Germania sono ancora molto potenti i Porsche che con i Piech rimangono i maggiori azionisti del gruppo Volkswagen. Con la holding Porsche SE detengono il 31,9% del capitale e il 53,3% dei diritti di voto del colosso tedesco, davanti allo Stato della Sassonia (20% diritti di voto) e del Qatar (17%). Tra i venti membri del consiglio di sorveglianza vi sono quattro rappresentanti del clan che ha costruito il gruppo Volkswagen, tra cui Wolfgang Porsche, 81 anni ,suo cugino Hans Michel Piech , 82 anni e Ferdinand Oliver Porsche, 63 anni, il tutto presieduto da Hans Dieter Potsch, il capo del casato. Presso Volkswagen esiste il limite di età di 75 anni per gli amministratori, anche se la società può decidere di applicare delle eccezioni. In questo momento in cui i dirigenti di Volkswagen intendono chiudere tre siti produttivi in Germania, il peso delle stirpi Piech e Porsche diventa sempre più importante anche in vista del braccio di ferro intrapreso dal management con il sindacato IG Metal. In Bmw, i Quandt possiedono quasi la metà dei diritti di voto dell’azienda. I due eredi – Susan Klatten (62 anni) e il fratello Stefan Quandt (58 anni) – sono attivi nella gestione sin dal 1997 e sono considerati gli industriali più potenti della nazione poiché partecipano a tutte le decisioni chiave. Anche se i grandi orientamenti sono frutto di un consenso stabilito tra la famiglia, il top management e i rappresentanti dei dipendenti. Il rifiuto , nel mese scorso, del presidente di Stellantis, John Elkann, di parlare davanti ad una commissione del Parlamento italiano, aveva suscitato profonde proteste. E’ stata la prova, secondo la classe politica e l’opinione pubblica internazionale, che l’automobile non figura più tra le priorità dell’erede degli Agnelli che hanno fondato la Fiat nel 1899. Attraverso la sua holding Exor, Elkann rimane il primo azionista del gruppo Stellantis con il 14,2% del capitale, ma la diversificazione del suo portafoglio e dei suoi investimenti, dimostra che il settore auto non è più il principale motore della fortuna Agnelli/Elkann. Dopo la morte di Sergio Marchionne, nel 2018, questa dinastia si è orientata verso la tecnologia e il lusso, scelte finanziarie hanno sostituito quelle industriali. In molti temono che Elkann voglia disfarsi del suo impero ormai decisamente impallidito. A differenza dei discendenti di Henry Ford che, dopo 121 anni, tengono ancora salda in mano la barra , grazie al 40% dei diritti di voto, pur possedendo solamente l’1,7% del capitale. Il pronipote di Henry Ford , Bill, è attualmente l’uomo forte, il maggiore azionista individuale che non ha mai smesso di rafforzarsi nel capitale con un quarto di azioni privilegiate. Mantiene la presidenza del gruppo a fianco del ceo Jim Farley, è sempre lui a prendere per primo la parola quando vengono annunciate decisioni strategiche. Ford ha comunicato, nei giorni scorsi, di dover tagliare almeno 4mila posti di lavoro in Europa, conseguenza delle difficoltà avute nell’auto elettrica dove pare perda più di 100mila dollari per veicolo venduto. La squadra Toyota rimane onnipresente, anche se ufficialmente Akio Toyoda ha affidato, lo scorso anno, la direzione esecutiva a Koji Sato, uno dei suoi più fedeli collaboratori. Ma Akio nterviene su qualsiasi pianificazione e gli piace diffondere la sua filosofia attraverso lunghi reportage che scrive sulla rivista interna “Xiota Times”, difendendo i progetti che ha lanciato come la Woven City, una città per sperimentare nuove forme di mobilità, guidata da suo figlio Daisuke Toyoda. Tuttavia sta affrontando le contestazioni di alcuni grandi investitori che hanno messo in discussione la pertinenza della sua governance. In India, il trasferimento dei poteri della famiglia Tata verso leader esterni, è transitato con molto dolore. Nel 2012, il patriarca Ratan Tata, al timone dal 1991, ha lasciato la sua carica di presidente di Tata Sons, l’entità che controlla anche Tata Motors, il maggiore produttore automobilistico del Paese, per lasciare il posto a Cyrus Mistry, il primo estraneo a diventare capo del gruppo. Difficile succedere ad una figura così carismatica come quella di Ratan Tata che lanciò, nel 1998, la Tata Indica, il primo modello interamente progettato e costruito in India. E, sempre a lui , si deve l’acquisizione da Ford del 100% di Jaguar Land Rover, nel 2008. Il gigante americano era in quel momento sull’orlo del fallimento, Ratan ebbe la sua rivincita nei confronti di Bill Ford che aveva umiliato l’uomo d’ affari indiano, dicendogli che non sapeva nulla dell’industria automobilistica e gli sconsigliava di lanciarsi in questo business. Ratan Tata applicò la sua influenza sino alla sua morte, lo scorso ottobre.