Riparte il calcio, dopo tre mesi, con la prima semifinale di coppa Italia fra Juve e Milan, cui seguirà sabato Napoli-Inter e, il 17 giugno, la finale. Poi arriverà il campionato, in attesa di un mercato fortemente condizionato dal Covid-19. Comunque sia alcuni pezzi pregiati sono in vetrina. Atalanta in pressing su Sebastiano Esposito che l’Inter vorrebbe mandare in prestito per fargli fare esperienza giocando. Ma, secondo calciomercato.com l’Inter potrebbe anche cedere Esposito in via definitiva con diritto di ricompra. L’Inter perde il pelo ma non il vizio, che è quello di cedere i suoi talenti giovani: possibile che Ausilio e Marotta non abbiano imparato la lezione Zaniolo? Ceduto in cambio di Nainggolan alla Roma per 7,5 milioni e ora con possibilità di passare alla Juventus per oltre 970 milioni? Esposito deve essere inviato in prestito ma non all’Atalanta dove in pratica non giocherebbe ma in una squadra, tipo Parma, dove invece potrebbe maturare. Personalmente, ritengo che Antonio Conte abbia ragione a volerlo trattenere all’Inter, dove fra campionato, coppa Italia e champions potrebbe essere molto utile. Sebastiano Esposito sta dando l’addio al proprio procuratore Augusto Carpeggiani per affidarsi a Federico Pastorello, agente di Romelu Lukaku che ha ottimi rapporti anche con Antonio Conte.
Intanto a Roma sta cominciando una nuova telenovela, quella di Gianluca Pellegrini, un centrocampista d’eccellenza (è anche nazionale) che vorrebbe rifiutare le arpe delle sirene che arrivano dalla Juventus e dall’Inter ma anche dalla Francia, dal PSG. Ma per farlo restare a Roma occorrerà aumentare, e non di poco, l’ingaggio che Gianluca percepisce che è di 2 milioni netti annui.
In legabro, dopo la promozione diretta in serie B il Consiglio Federale ha dato via libera anche ai play off per la quarta promossa.
Eventualità che, però, sarà legata all’evolversi del Covid-19, perché in caso di nuova sospensione delle partite sarà la migliore classificata dei tre gironi a conquistare il quarto tagliando per la B. Ben diversa invece la decisione in relazione ai playout, che si giocheranno solo tra le squadre che si trovano tra il penultimo ed il quintultimo posto dei tre gironi, perché Gozzano, Rimini e Rieti retrocederanno a tavolino in Serie D. Decisione quest’ultima che ha mandato su tutte le furie il presidente del club romagnolo, Giorgio Grassi, che ha deciso di lasciare il mondo del calcio proprio a seguito di questa scelta. Tra le squadre che faranno il salto dalla serie D ai professionisti ci sarà anche il Palermo. Promosse nella prima serie professionistica anche Campodarsego, Lucchese, Pro Sesto, Mantova, Grosseto, Matelica, Turris e Bitonto. Ma la Lega Pro ha bisogno di una profonda ristrutturazione, perché delle 60 squadre che partecipano ai tre giorni ben più della metà sono in stato di grande necessità finanziaria: lo scarso pubblico con conseguente scarsi introiti sono la ragione principale della necessità di un cambiamento radicale.
Che il calcio italiano sia sul limite del burrone lo dice l’Annual Review of Football Finance 2020 redatto da Deloitte Sports Business Group, che analizza la situazione della Serie A e degli altri principali campionati europei alla luce dei risultati evidenziati nella stagione 2018/2019. I ricavi per il calcio italiano sono saliti sino a 2,5 miliardi di euro, con un aumento dell’11%, l’ultima annata ha causato anche una perdita operativa di 36 milioni per il rapido incremento degli stipendi. In Europa Premier League e Liga sono oggi irraggiungibili, rispettivamente con oltre 5,8 e 3,3 miliardi di euro di ricavi. Il campionato inglese ottiene il 59% dei suoi introiti (3,5 miliardi) dai diritti tv, il 23% da accordi commerciali e soltanto il 13% (776 milioni) dai botteghini. Cifre simili per il calcio spagnolo, con 521 milioni di euro dagli ingressi negli stadi, 1,8 miliardi dalle televisioni e poco più di un miliardo dagli sponsor. In Italia i nostri club non hanno stadi di proprietà, e per questo è impensabile ridurre quel margine che oggi ci vede incassare poco più della metà di quanto arriva dagli impianti tedeschi e spagnoli; ancora più netto è il gap alla voce “accordi commerciali”, con i nostri 751 milioni ben lontani dai 1.023 della Spagna e dai 1.616 dell’Inghilterra.