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Apr 15 #CALCIOLAND-QUANDO IL CALCIO RITIENE DI ESSERE AL DISOPRA DELLA SCIENZA

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Giovanni Rezza, responsabile del reparto malattie infettive dell’Istituto Superiore della Sanità, ingrossa il partito degli scettici sulla ripartenza del calcio. E lo fa in una delle consuete conferenze stampa della Protezione Civile sollecitato da una domanda di un giornalista. Domanda: Lei riaprirebbe al campionato di calcio? Risposta: Parlo da medico e non da tifoso della Roma. Fosse per me non darei parere favorevole. Il calcio è uno sport di contatto e il contatto può favorire la circolazione del virus. Anche l’ipotesi di test ripetuti mi sembra un po’ tirata», aveva aggiunto l’epidemiologo che aspetterebbe settembre e per adesso lascerebbe chiuso: «Il mio è solo un parere anche se credo che il Comitato scientifico sarebbe d’accordo con me. Ma è chiaro che a decidere sarà il governo».

Parole precise che hanno acceso il dibattito scatenando le ire della Lazio, il cui presidente Lotito avrebbe già voluto vedere la sua squadra in campo per gli allenamenti. Con protervia e scarsa educazione, il portavoce laziale Arturo Diaconale ha replicato al professore tirando fra l’altro in ballo la fede romanista dell’epidemiologo che quando ci sono i morti di mezzo dovrebbe contare meno di nulla e non dovrebbe essere tirata in ballo. Questa l’uscita di Diaconale: “Alle volte il tifo colpisce anche gli scienziati e dà alla testa… esperti che sarebbero molto più utili se, invece di occuparsi di argomenti simili, trovassero un modo per fronteggiare efficacemente il virus. Gli scienziati facciano gli scienziati e non i tifosi. Sarebbe davvero auspicabile che, invece di alimentare polemiche calcistiche di cui non si sente il bisogno, si dedicasse ogni energia alla ricerca di una cura o di un vaccino che possa arrestare il contagio”.

Mi sembra che il signor Diaconale, 74 anni, avrebbe dovuto avere maggiore prudenza nel parlare di un uomo di scienza senza tirare in ballo argomenti come il tifo sportivo che proprio in questo caso non c’entrano per niente. Le parole di Diaconale sono vieppiù prive di senso se riferite al presidente di un dipartimento che studia soltanto proprio il modo di fronteggiare e debellare il Coronavirus arrestandone il contagio. Che poi il professor Rezza non possa fare il tifo per la squadra che vuole, questo Diaconale non può certo impedirlo. Ma contrabbandare per tifo una affermazione personale non solo del tutto lecita ma, visto che nel calcio non desistono immunità precostituite, anche condivisibile è tipico di un personaggio che, pur avendo in tasca il tesserino di giornalista professionista, può essere catalogato solo come portavoce di un presidente che vuole solo ricominciare a giocare col solo obiettivo, costi quel che costi, di togliere lo scudetto alla Juventus. Portavoce magari ben pagato rispetto al contratto nazionale dei giornalisti, ma pur sempre portavoce.

La partita sulla riapertura comunque è in corso. Il presidente della Federcalcio Gravina vorrebbe far riprendere gli allenamenti il 4 maggio ma in attesa di capire se il campionato potrà rimettersi in moto, due mesi dopo l’ultima partita a porte chiuse, Gravina e molti presidenti di società si domandano come farlo in condizioni di totale sicurezza.

Oggi la commissione medica della Federcalcio, coordinata dal professor Paolo Zeppilli e composta da una quindicina di esperti (troppi, in questo caso) fornirà le linee guida al ministro della Salute, Speranza, linee che non saranno molto diverse da quelle della Federazione dei medici sportivi che valgono per tutti gli sport. Per ripartire sarà necessario uno screening ad hoc e una serie di controlli ripetuti durante l’estate forzata di partite. Ai club verrà chiesto di sanificare i centri sportivi, di circoscrivere l’ingresso a un gruppo ristretto di persone, di eseguire approfondite visite mediche sui giocatori per avere una nuova idoneità attraverso test molecolari e sierologici. E i giocatori che il virus lo hanno contratto, dovranno sostenere anche esami radiologici e cardiovascolari. La Federcalcio, a sua volta, vorrebbe effettuare le visite ai giocatori dal 27 aprile, allenamenti dal 4 maggio, campionato dal weekend del 30-31 maggio, anche se la Lega vorrebbe partire una settimana prima.

Che l’idea di ripartire così presto appaia alquanto bislacca e priva del fattore primario, che è quello della salute di calciatori e e personale tutto delle squadre, lo dimostra la difficoltà di mettere in pratica le linee guida dei medici. Solo 11 squadre su 20 in serie A hanno un centro sportivo in grado di accogliere i giocatori a dormire. Ma il gruppo, per vivere in una zona «virus free», dovrà essere allargato oltre che a medici, magazzinieri, fisioterapisti e massaggiatori, anche al personale di servizio. Non ci sono camere per tutti. Solo la Juve, che un albergo ce l’ha, potrebbe essere in grado di affrontare la situazione senza problemi. Le altre società dovebbero affittarne uno. E poi c’è il problema tamponi. Secondo la Figc i tamponi dovranno essere continui e a carico dei club, uno ogni quattro giorni, forse anche tutti i giorni per chi deciderà di mandare i giocatori a dormire a casa. Ora, i medici hanno sempre e chiaramente detto che un tampone oggi può essere negativo e domani positivo: ragion per cui, i giocatori e il personale addetto non sarebbero mai realmente sicuri di un’immunità. «Non sarà facile mettere in pratica tutte le direttive, soprattutto in serie B e Lega Pro. I medici sono preoccupati», assicura Enrico Castellacci, medico della Nazionale campione del mondo 2006 e presidente dell’associazione medici calcio. Fra l’altro il pessimismo dilaga e Alessandro Bellucci, medico del pronto soccorso di Sassuolo e del Modena, girone B della Lega Pro, lancia l’allarme: «Per le squadre di C sarà quasi impossibile seguire il protocollo e fare tamponi in continuazione senza contare che gli esami del sangue non danno garanzie al 100 per cento». E a pensarla così è la quasi totalità dei medici di Lega Pro.

 

 

 

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