C’è, forse, qualcosa in più dietro la polemica fra le società di Serie A e il ministro dello sport, Vincenzo Spadafora. È una ribellione vera e propria che sconfina in parole dure e con risposte di larvate ritorsioni. La Lega di A ritiene che non sia stato rispettato il patto sottoscritto in occasione dell’ultimo incontro con i rappresentanti dell’esecutivo sulla data del 4 maggio per la ripresa degli allenamenti – seppur in maniera individuale o a piccoli gruppi – differita al 18. Quella del 14 giugno è considerata l’ultima data utile per far ripartire il campionato e le società vogliono quattro settimane per rimettere in condizione i calciatori fermi ormai da cinquanta giorni. Lo spiegano all’Ansa fonti della Lega, dopo il consiglio informale in cui è emersa delusione per il decreto ministeriale in cui non sono previste le date di ripartenza del calcio. Le stesse fonti sottolineano che al governo erano state chieste due date, quella per la ripartenza degli allenamenti e quella per il campionato, e che non è stato rispettato un accordo politico raggiunto nei giorni scorsi. C’è il forte timore che non arrivi l’ultima rata dei pagamenti delle pay-tv, prevista per il primo maggio. In quel caso, sottolineano fonti della Lega, verrà dato mandato ai legali di recuperare le somme.
Il ministro Spadafora ha smentito ogni accordo: “Sono ridicole le affermazioni di un complotto contro la Serie A, mi muoverò sempre nella consapevolezza che il mondo del calcio va salvato. Io devo scongiurare che, nella ripresa, lo sport possa avere nuovi contagi. E dobbiamo poterlo fare rispettando le necessarie regole. Possiamo provare a fare un ragionamento sul calcio senza pregiudizi? I sondaggi dicono che la maggior parte degli italiani vorrebbe chiudere qui il campionato, ma io non voglio farmi condizionare dai sondaggi. Questo solo per dire che sarebbe molto più facile chiudere qui il campionato, come auspica la comunità scientifica. Io però sono consapevole che il calcio è importante sia come elemento sociale sia dal punto di vista economico. Il miliardo e mezzo che il calcio paga al Fisco contribuisce al fondo dello Stato per tutte le altre discipline e federazioni. Portare avanti il mondo del calcio è perciò importantissimo per il nostro Paese, ma lo dobbiamo fare in sicurezza. Mi sembra assurdo chiedere il perché si sia partiti dagli sport individuali, è evidente anche a chi fa finta di non capirlo che gli sport individuali impegnano meno persone e richiedono meno esigenze organizzative”. E il ministro Spadafora ha concluso: “Ripeto: le affermazioni di un complotto contro la Serie A sono ridicole, invito ad astenersi nel fare pressione sul governo e sulla politica anche grazie a certa stampa. Mi muoverò sempre nel rispetto delle regole, consapevole che lo sport è da salvare. Secondo la FIGC si dovrebbe ripartire a metà giugno, oggi siamo a fine aprile, è un tempo lunghissimo. Se riprendono gli allenamenti, ci predisponiamo alla ripresa del campionato, ma lo sapremo più avanti”.
Ma le società di serie A pensano sì alla sicurezza dei loro atleti e dei loro addetti ma soprattutto ai soldi già persi e a quelli che si potrebbero perdere se il campionato non dovesse riprendere e svilupparsi secondo i contratti già stipulati con le televisioni.
Quello che inquieta maggiormente i club del massimo campionato e la Federcalcio è l’incertezza su quello che avverrà nelle prossime settimane. Ci sarà la possibilità che le squadre riprendano gli allenamenti di gruppo dal 18 maggio alla data sulla ripresa del campionato, che per le società non può slittare oltre il prossimo 14 giugno se si vuole rispettare il limite di conclusione imposto dalla Uefa, e cioè nei primi giorni di agosto? I presidenti di Serie A sono molto preoccupati dalla prospettiva di non terminare la stagione 2019-2020 che, unita alla concreta possibilità di iniziare la nuova a porte chiuse, metterebbe a serio rischio l’economia di 10 società su 20. Come riporta un documento che circola tra i patron e di cui riferisce La Repubblica: “Il Covid-19 finirà per far sparire quelle squadre medio piccole che vivono sopra le proprie possibilità”, aveva sintetizzato il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis nell’ultima Assemblea di Lega.
Il 25% in meno di perdite, considerando i mancati incassi dagli abbonamenti, e col nodo dei contratti con le tv ancora da sciogliere, significano avere la spada di Damocle sulla testa. Se il calcio ne fa una questione economica, dietro le perplessità espresse dalla politica ci sono le incognite sollevate dal comitato tecnico-scientifico consultato dal Governo. Ci sono alcuni punti sui quali non c’è ancora convergenza con la Federcalcio, invitata a correggere il protocollo di sicurezza presentato nei giorni scorsi e per il quale giovedì è previsto un nuovo round.
1. Il numero di persone coinvolte nell’attività di una singola squadra variano fra le 50 e le 70 (considerando anche staff tecnici, magazzinieri, medici, fisioterapisti, personale logistico) viene ritenuto troppo alto.
2. Le trasferte sono giudicate un fattore di rischio molto alto.
3. Le incognite legate ai tamponi e ai test sierologici, sia per una questione di disponibilità sia di costi.
4. Costi che sarebbero sostenibili per le società di Serie A ma non per quelle di B.
Sotto le insegne della commissione medico-scientifica della Federcalcio il professor Vincenzo Salini, in un’intervista a Radio Marte, parla delle dichiarazioni del Ministro Spadafora sul protocollo della FIGC: “I commenti sono stati diversi, alcuni ottimisti, altri pessimisti. Ho avuto un colloquio con il Professor Paolo Zeppilli, ci sono modifiche da fare sull’aspetto logistico. Abbiamo scritto un protocollo basato sulla situazione di 15 giorni fa. La società dei medici del calcio voleva essere coinvolta. Non so con precisione quali siano i punti messi in discussione. Sicuramente la nostra attuale immobilità è dovuta solo ed esclusivamente al fatto che la commissione è monca per l’assenza del dottor Tavana, medico rappresentante della Serie A. Non penso però ci siano grandi correzioni da fare. Il Protocollo è stato più o meno accettato. L’unica cosa che lascia perplessi è il fatto che ci si possa allenare individualmente dal 4, e solo il 18 di squadra: molti club di Serie A posseggono centri sportivi abbastanza capienti da poter organizzare il lavoro. Ci sono anche realtà che vanno al di sopra dell’aspetto strettamente scientifico – ha proseguito Salini -. Il nostro protocollo è stato in gran parte avallato dal comitato scientifico stesso del governo. Per questo mi è parsa una dichiarazione sorprendente quella di Spadafora. Sicuramente non è una questione semplice. Capisco il ministro, ci sono anche altre questioni in ballo come la richiesta sull’accettazione del rischio penale in caso di problemi seguenti alla ripartenza. Questa è una malattia in cui non avremo mai la certezza di un rischio zero. Un minimo rischio c’è. Il rischio che si può generare in un atleta di alto livello può riguardare addirittura la compromissione della carriera, con le ripercussioni civili e penali che potete immaginare. Le complicanze del virus su una persona normale sono relative, in un calciatore possono significare problemi per la carriera: ci sarebbe da valutare l’aspetto legale successivo. I medici della Serie A hanno chiesto chi si assumerà la responsabilità di questo, responsabilità che dovrebbe essere del governo. Forse è anche per questo che c’è ancor più cautela da parte del ministro. Un altro problema reale riguarda l’aspetto assicurativo. Tutte le assicurazioni delle società non coprono in caso di pandemia e anche di questo bisognerà discutere”.
Ecco, forse, svelato almeno parzialmente il “dietro alle quinte” delle dichiarazione. Di mezzo ci sono sempre i soldi, in questo caso non solo degli stipendi spesso cospicui dei calciatori ma anche delle assicurazioni di tutti i membri delle squadre e dei loro staff contro l’infezione da Coronavirus, in caso di recrudescenza dei contagi, assicurazioni che attualmente non coprono il caso di pandemia. Sarà questo il nodo principale da sciogliere? La risposta viene data da una circostanza: senza gli introiti delle Tv e degli sponsor, – che calerebbero fortemente almeno per i prossimi anni – il calcio italiano non potrebbe più mantenere degnamente gli altri sport individuali, soprattutto nuoto e atletica, perché la serie A incassando di meno sarebbe costretta a rinunciare all’acquisto di giocatori di livello, diventando pubblicitariamente meno appetibile.
Infine, quell’invito del ministro Spadafora alle società di serie A di “astenersi nel fare pressione sul governo e sulla politica anche grazie a certa stampa” mi suona di avvertimento. Per parafrasare il vecchio spot pubblicitario: “o così o pomì”. Sperando che quel “pomì” non escluda almeno la ripresa della trattativa.