Luca de Meo, capo di Renault e di Acea, l’associazione dei costruttori europei di automobili, ha detto: “Per ogni veicolo elettrico invenduto dobbiamo rinunciare alla vendita di quattro termiche, altrimenti ci tocca pagare 15 miliardi di euro di multe per lo sforamento dei limiti di Co2 . Da qui deriverà la perdita di 2,5 milioni di auto sul mercato europeo. Così forse è più chiaro a tutti perché vado dicendo da anni che Bruxelles – con delle norme autolesioniste – ha gettato le basi per la deindustrializzazione dell’automotive europeo. Così forse è più chiaro perché VW ha aperto prima degli altri le danze delle chiusure. Cosi forse è più chiaro perché ci sono forze politiche che spingono per una revisione del Green Deal e perché la Vda, invece, chiede di vietare la vendita di combustibili fossili a partire dal 2045,precisando che è “nell’interesse della protezione del clima”. Così forse è più chiaro perché parlare di essere pro o contro l’elettrico è una stupidaggine superficiale buona per i commenti da social: il problema non è la tecnologia propulsiva, bensì le sue implicazioni strategiche, industriali, geopolitiche, energetiche e occupazionali. Ora, poiché nel 2025 le regole diventeranno più severe, ci troviamo a una forte contraddizione. Gli europei non comprano le elettriche, ma i costruttori non possono vendere il prodotto che davvero vorrebbero. Quindi si riparte – vedi la Germania – con la distribuzione di fondi pubblici per sostenere artificialmente un segmento fermo, generando gli stessi buchi di bilancio che hanno indotto i governi a togliere gl’incentivi. Per tenere in piedi le filiere nazionali, cerchiamo di attirare i cinesi, i cui prodotti termici spazzeranno via la sempre meno presente concorrenza europea nel mass market. Nel frattempo gli Usa si sono chiusi e in Cina la quota dell’import sta crollando (nelle Bev, poi, gli europei non toccano palla).