Ciao Carla,
è un saluto come tante volte ma questa volta la differenza è che é l’ultimo. La notizia della tua morte mi è arrivata ahimè non inattesa: il tuo stato di salute già così provato non avrebbe potuto reggere all’attacco del virus. Sei andata via nel modo più lontano dal tuo stile, da quel tuo modo ineguagliabile di essere sempre “elegante”: ti hanno portata via – spero senza che tu lo abbia potuto capire – facendoti diventare come in una pagina da Manzoni, un “corpo”, e ora che il fatto non ti importa più mi piace pensare come lo avresti commentato questo fatto terribile, questo insulto al tuo bisogno di eleganza, di civiltà ad ogni costo. E non è nemmeno giusto parlare di civiltà in questi frangenti in cui ogni minuto per una persona malata è prezioso e bisogna solo fare presto: prenderla, caricarla, tentare il possibile e…chiuderle gli occhi. Lo avresti sottolineato come una necessità da accettare, con quella tua pacatezza che diventava una lezione di guerra. Perché in quello sguardo, ingenuo solo per i distratti – reso più forte dall’azzurro spietato degli occhi grandi che ti faceva apparire unica, diversa – non c’era, come molti credevano, fragilità ma quella forza che ti veniva da una formazione veneziana che non prescinde mai dall’ironia, più ancora da un’autoironia che spiazza sempre l’interlocutore. E da veneziana di razza qual eri hai sempre usato il tuo “modo” di porgerti come arma vincente.
Il tuo grazie-prego-scusi irrinunciabile – e per tanti fastidioso – si imponeva pesante e significativo sui caratteri “diretti”, “rapidi”, “veloci” , quelli che corrono per arrestarsi poi ad ogni ostacolo inevitabile e arrivare esattamente quando arrivi anche tu, camminando normalmente, senza il fiato corto , con i capelli a posto trattenuti dal codino settecentesco che ritroviamo in tanti quadri di nobili veneziani. Nobiltà nel tuo caso era un discorso quasi banale, discendente com’eri da un nome che ha accompagnato la storia della Repubblica di Venezia alla quale i Mocenigo hanno dato , mi pare, otto Dogi – per non dire di Procuratori, Ambasciatori, membri di quel Consiglio dei Dieci che seppe far durare un governo aristocratico per più di mille anni. Un peso ereditario che non poteva lasciare indifferenti e che certamente ti ha gratificato ma ti è anche pesato in un mondo così’ lontano da quel potere che – qualsiasi cosa importante tu facessi – la faceva sempre risultare infima, non consona, non all’altezza. Essere una “Mocenigo” a Venezia , lasciando al tempo passato la risposta giocosa, umanizzata, che poteva dare tua madre, l’Amalia che giocava a essere una qualunque , che salutava tutti i negozianti al passaggio, regalava parole amichevoli, si permetteva di lasciare ai posteri come “opera” compiuta il nome di “Carpaccio” per un piatto di carne cruda dell’Harry’s Bar.
Tu, no. Tu eri diversa e nella farraginosa sequenza di atti più o meno drammatici o “eroici” della tua vita spesso difficile , hai reagito con la determinazione che non ti è mai venuta meno. E hai cambiato “patria” scegliendo Milano , la città che ti avrebbe dato ciò che meritavi premiandoti in una professione che sembrava nata per esaltare quei difetti del prossimo che in realtà ti disturbavano. Ma con la fermezza che ti sorreggeva sapevi che il tuo nome importante ti avrebbe dato una mano presso i “clienti” da corteggiare per questa o quella Maison famosa , per convincerli della bontà di un prodotto o di un evento. Soprattutto i giornalisti da indottrinare per ogni occasione che sapevi rendere degna di considerazione. Del tuo successo, del nome che per tanti anni a Milano si imponeva anche con una semplice telefonata di “saluto” (“qui Mocenigo. Sono la Carla…”) hanno giustamente parlato in questa circostanza dolorosa amici e addetti del settore moda. Io , più che una giornalista , per te ero una veneziana, “una di casa” alla quale ti rivolgevi confidando solo nell’ironia che ci rendeva affini: “..ti segnalo il tal dei tali, bravissimo, davvero bravissimo…” e quel davvero significava: “capiscimi, devo dirti che è bravo…è un cliente…ma è bravo davvero.” Nel mestiere di public relations sei entrata quando in questo settore stavano imponendosi pezzi da novanta come Rudy Crespi, Franco Savorelli, Beppe Modenese, Angelo Sacchetti, Maccentelli, dai quali imparavi ciò che serviva, senza mai perdere il tuo àplomb al quale regalavi quello sguardo azzurro, falsamente sperduto ma sempre indagatore e vincente.
Ti lascio Carla ricordando quella nostra pausa in San Babila, al St.Andrews, io in attesa di un piatto di lasagne e tu di un’insalata senza condimento. Cominciava allora quella tua battaglia che mi vedeva sul fronte opposto, la tua lotta contro il curvy che detestavi e il mio dirti , inutile e fastidioso, che mangiare è bello. Il tuo rifiuto del cibo – divenuto una malattia – aveva radici lontane, era un messaggio da considerare, era la tua guerra che non si è arrestata mai, combattuta con la tua arma di sempre che era la gentilezza, usata come una clava: “mi hanno licenziata – mi raccontavi quel giorno a San Babila con un mezzo sorriso – perché … hanno detto che ero troppo educata ….!”.
Ciao Carla. Adesso riposa in pace.
Luciana