C’è un nuovo accessorio che nessuno vuole ma tutti devono indossare: il dazio. Sì, quel simpatico balzello che trasforma ogni importazione in un salasso e ogni esportazione in una corsa a ostacoli. Milano piange, Parigi si dispera, Londra alza le spalle (come sempre) e New York alza i dazi. Il risultato? La globalizzazione della moda si prende una pausa caffè. Amara.
C’era una volta la globalizzazione: gli abiti viaggiavano felici da un continente all’altro, i jeans americani arrivavano in Italia più veloci dei pacchi di Amazon e le borse italiane conquistavano New York come fossero focacce in una panetteria ligure. Il tanto amato (e sventolato) “Made in Italy” rischia ora di diventare “Made in ‘ci pensiamo due volte’”. Le maison italiane, già alle prese con influencer capricciosi, tendenze fugaci e clienti che vogliono “qualcosa di sostenibile ma glamour ma anche economico ma unico”, ora devono anche vedersela con il moltiplicarsi di dazi sulle esportazioni.
E non pensate di risolvere il tutto con un bicchiere di vino! Nel 2024 gli Stati Uniti erano il secondo paese per importanza in termini di Export per Franciacorta (così mi ha detto la mia amica Francesca Zocchi mentre pranzavamo al Portrait per fare il punto sulla nostra vita), questo significa che i dazi potrebbero togliere ossigeno anche al gusto e magari si tornerà alle importazioni clandestine come negli anni ’30.
Certo è che quando Trump parla di protezionismo, la moda trema. I dazi sugli abiti prodotti all’estero, sulle materie prime, sulle tecnologie usate per creare collezioni sostenibili e innovative non sono solo numeri: sono ostacoli reali su una passerella già piena di insidie. Come risponde la moda a questa guerra commerciale? Basteranno idee, innovazione e visione? C’è chi si preoccupa davvero e chi scrolla le spalle facendo finta che il mercato americano non sia appetibile.
Il tema è all’ordine del giorno in tutti gli appuntamenti, da quelli professionali a quelli della design week, che sono più che altro un mix strategico di lavoro e marketing.
In questi giorni, nel mio “ufficio diffuso”, (ma spesso con il prosecco in mano) ho lavorato travestita da festa, assimilando bellezza e idee. Penso che la Design Week sia soprattutto questo, una settimana di networking intensivo, contatti e presentazioni, dalla quale si esce carichi a molla. Come dimenticare l’anteprima dell’installazione di Loro Piana e Dimoremilano dove, chiusi tra i tendaggi in velluto rosso di un foyer nel Cortile della Seta, alcune colleghe si sono fatte venire un attacco di claustrofobia e hanno chiesto di uscire di corsa per evitare un attacco di panico!
In verità, occupandomi di moda, lifestyle, bellezza e storie di vita, la mia vera ansia riguarda da una parte la paura di perdermi qualcosa, dall’altra mi sento confusa ma anche motivata. La cosa che mi stupisce sempre sono le code di gente per avere un gadget gratis o per avere un aperitivo a scrocco, quest’anno più lunghe che mai.
Tra gli addetti ai lavori vedo entusiasmo, ma anche un po’ di panico; riuscire a fare arrivare gente agli eventi non è così scontato quando nello stesso momento ce ne sono altri venti. Capisco che le liste sono allargate quando all’improvviso la pr che non mi fila tutto l’anno, mi scrive dicendomi che ci terrebbe molto a vedermi in occasione dell’evento. Non ho ancora capito se sto nella lista A, B o C (spero non D come Design).
Comunque oltre il design c’è tutto il resto: tipo i gemelli di Dsquared che si mettono a litigare con Renzo Rosso per la risoluzione del contratto di licenza (per me vogliono tornare liberi di vendere il loro brand…) o Meghan Duchessa di Sussex che ha lanciato le sue marmellate che sono andate subito sold out, costo 13 euro circa ( io avrei comprato i granuli di fiori secchi da spargere sulle pietanze come non ci fosse un domani).
C’è poi l’acquisizione di Versace da parte di Prada Group, la notizia bomba che è molto più di un’operazione da 1,25 miliardi. E’ una dichiarazione di intenti: fare sistema, diventare una forza italiana capace di reggere il confronto con i big internazionali, aggirare le fragilità del mercato frammentato e affrontare con muscoli nuovi le sfide economiche globali.
Poi ci sono i piccoli problemi di ogni giorno, come quello affrontato da Sara Maino che erroneamente ha avviato un gruppo whatsapp per invitare i suoi contatti all’evento alla Fondazione Sozzani , per un attimo ho pensato di essere finita nuovamente nella chat della scuola. Ad aiutarla è intervenuto Carlo Capasa, Presidente di Camera della Moda che ho scoperto essere un esperto di tecnologia che ha dato istruzioni precise “Se vuoi eliminarla clicca in alto e scorri verso il basso e ti appaiono le opzioni” (lo scrivo nel caso possa essere d’ aiuto a qualcuno).
Il bello di lavorare da tanti anni è che a volte vivo le situazioni come se accadessero ad un membro della mia famiglia e partecipo ad eventi come se fosse il pranzo di mia zia (dimenticavo, non ho una zia). Quando Brunello Cucinelli mi invita mi sento come se fossi ospite alla comunione di mia nipote (dimenticavo, non ho una nipote), invece è la partecipazione al suo Dottorato di ricerca honoris causa in Architettura dall’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” a Caserta. Appena arrivate io e Laura Asnaghi siamo andate a prenderci una sfogliatella facendoci una bella passeggiata vista Vesuvio. La cosa straordinaria è che davanti al nostro hotel non c’erano le strisce pedonali e nella notte sono state fatte, una cosa incredibile se pensi che siamo a Napoli! Caro Sindaco Sala attenzione che qui si stanno invertendo i ruoli eh! Benvenuti al Sud!
Durante la cena al tavolo con Giorgio Martelli e Bruna Rossi mi sono fatta una marea di risate quando, insieme a Michela Gattermayer, hanno ricordato una vacanza a Sharm el Sheikh dove hanno fatto la “Banana experience”… avete presente quando un motoscafo trascina ad alta velocità in mare una banana gonfiabile? Ecco quello… cosa avevate capito! Comunque fatevelo raccontare e vi farete due risate anche voi.
Scherzi a parte, sono rimasta affascinata dal Magnifico Rettore Professor Gianfranco Nicoletti che ha introdotto con eleganza l’elevato profilo internazionale di Brunello evidenziando ai suoi studenti che è possibile creare un’impresa che rispetti l’essere umano in quanto tale. Ed infatti Cucinelli ha sottolineato l’importanza di dedicare il giusto tempo alla cura della propria anima, ricordando che nella sua azienda è vietato mandare o leggere mail dopo le 17,30 ( qui ho capito che Brunello non usa il cellulare).
Siparietto divertente quando è intervenuta la Ministra Anna Maria Bernini che, levandosi la giacca per essere meno formale, ha illustrato come la crescita di un’impresa non debba essere vertiginosa ma costante, i cicli sono scanditi dagli obiettivi “Il modo migliore per essere innovativi è non avere paura di sbagliare, la tarte tatin ad esempio nasce da uno sbaglio” . Di tutti gli sbagli che si potevano citare quello della tarte tatin mi ha lasciata spiazzata.
Prima di imbarcarci per il rientro a Milano da questa toccata e fuga napoletana, sono riuscita a vedere la Reggia di Caserta che è una delle residenze reali più grandi al mondo, Patrimonio dell’Umanità dal 1997 insieme all’Acquedotto Carolino e al Belvedere di San Leucio (Max Mara sfilerà qui a giugno). Simpatico giro tra colleghe sulla macchinina elettrica fino al giardino di Venere con un cicerone d’eccezione, Emanuela Rosa-Clot direttrice di Bell’Italia e Gardenia che ci spiegava le varie specie di piante, mentre l’autista raccontava dove Ferdinando di Borbone si infrattava con le amanti.
Anche se si è in giro per lavoro bisogna sempre gestire “cazzi e mazzi”! Dalla redazione o da casa arrivano sempre telefonate per qualche problema da risolvere; ho apprezzato la collega che non ha smesso di lavorare nemmeno sulla navetta e che ad un certo punto è sbottata dicendo “Qui non sappiamo nemmeno se ad ottobre ci saremo ancora”! Questo per farvi capire quanto noi giornalisti siamo stressati con il lavoro.
Di sicuro qui a Milano abbiamo dei ritmi fuori di testa, io mi rilasso solo quando finalmente mi metto a letto con il mio compagno (il cellulare) e mi faccio coccolare dalle voci di Nicole Briata e suo figlio che cantano su IG, quando li ho sentiti interpretare la canzone di Giorgia “La cura per me” mi sono commossa. Nicole io sono pronta per aprire quel chiringuito a Formentera lo sai? Tu canti, io cucino. Lo arrediamo con le belle porcellane di Simone Guidarelli, quelle che ha presentato alla Coin in questi giorni ( a proposito ha arredato con le sue tappezzerie le camere del nuovo Hotel di QC Terme a Milano che aprirà a breve).
Se potessi esprimere un desiderio e chiedere ad una persona sulla terra un consiglio ed un aiuto per gestire i miei guai, mi affiderei senza dubbio al Signor Armani, l’unico in grado di affrontare questo caos con lucidità ed a trovare soluzioni dove gli altri vedono solo problemi e trasformare ogni inciampo in un trampolino. Durante la sua visita nel negozio di Armani|Casa in occasione della presentazione della nuova collezione, non ha perso l’occasione per controllare che tutto fosse perfetto ed ha fatto sparire un vassoio che secondo lui era di troppo. Togliere è spesso una forma di problem solving, eliminare il superfluo riduce la complessità e ti permette di vedere con più chiarezza. Less is more non è solo una frase da designer, ma una vera e propria strategia.
Ecco perchè in tutto questo caos ho capito che rimuovere ciò che non serve rende tutto più forte e chiaro: una frase funziona meglio quanto togli parole inutili, un’interfaccia pulita è più efficace, dire no a ciò che ti distrae ti permette di concentrarti su ciò che conta, togliere la finzione porta autenticità. Il problema non è quello che manca, ma quello che c’è di troppo: troppe riunioni, troppi passaggi, troppe mail in copia, troppi pareri non richiesti, troppe complicazioni. Troppi soldi da pagare. Dazi e mazzi, appunto.