Moda

Set 24 DRESS AND DISSING

di Cristiana Schieppati

La cosa più bella di questa fashion week è il dissing tra Tony Effe e Fedez” commentano i ragazzi su TikTok. Mentre il calendario sfilate faceva il suo corso, nel mondo parallelo dei social si stava consumando uno scontro che per molti ragazzi ha destato più interesse di quello che circolava in passerella.

Mettiamo in ordine i fatti. In inglese dissing significa “mancare di rispetto” e nella musica pop si riferisce appunto a criticare o insultare apertamente qualcuno. Il “pomo della discordia” in questo caso è una donna, nulla di nuovo se di guarda al passato. Ma quella donna è Chiara Ferragni “la distrazione di massa più bella che io abbia mai visto”, come scrive l’ex marito nella canzone che la lanciato proprio per sfruttare questa massima attenzione del pubblico, allora la fashion week si tinge di un filone parallelo che distrae e rende protagonisti di questa settimana (un caso?) proprio coloro che erano stati messi fuori dai giochi. Ma dove siamo arrivati per ottenere consensi?

Si sa che designer, celebrità e marchi sono avvezzi alla tematica, tra scontri verbali, critiche aperte e commenti sferzanti. Uno dei primi dissing fu quello tra Coco Chanel e Elsa Schiaparelli, la creatrice francese definiva la sua collega ” quella stilista italiana”. Poi Yves Saint Lauren VS Karl Lagerfeld, amici nei primi anni di carriera divennero poi acerrimi rivali. Negli anni ’80 Gianni Versace e Giorgio Armani, due giganti dove il primo criticava il minimalismo di Armani, il secondo ne disapprovava l’opulenza barocca ed era un continuo scambio di frecciatine. Nel 2016 quando Hedi Slimane lasciò la direzione creativa di Saint Laurent criticò apertamente la decisione presa dal gruppo Kering e la questione divenne anche legale. E come dimenticare Tom Ford vs Domenico Dolce & Stefano Gabbana per le loro dichiarazioni contro le famiglie omogenitoriali e la fecondazione assistita. Insomma qui nel mondo della moda il dissing è il nostro pane quotidiano, tranne per i giornalisti che non possono permettersi di criticare i designer pena il mancato invito alla sfilata e il taglio di budget pubblicitari ai giornali.

Ne parlavo con Azzurra Della Penna, che ho trovato in gran forma, e Michela Gattermayer e mi hanno ricordato anche la tensione tra Anna Wintour e Naomi Campbell che non ha mai accusato direttamente la direttrice di Vogue Usa di razzismo ma in più occasioni ha sottolineato il mancato riconoscimento della diversità nelle copertine di Vogue. I rapporti poi si sono abbastanza ammorbiditi dopo che c’è stata un’apertura al dialogo sul tema della diversità nella moda e quando la Wintour ha riconosciuto la mancanza di diversità a Vogue nel passato. Al Met Gala del 2017 durante un’intervista la top model ha risposto ad una domanda su Anna Wintour dicendo qualcosa del tipo “Beh, sappiamo tutti chi è il vero capo qui” e la frase è stata percepita come un riferimento ironico alla dominanza della direttrice nell’industria della moda.

Io se devo dire non ho molte persone che mi stanno antipatiche, nel caso, più che frecciatine le ignoro proprio, mentre sento spesso commenti dettati dall’invidia da parte di tante persone che, seppure sedute sempre in prima fila ed invitate ad ogni evento, non si rassegnano alla cattiveria ed al volere sempre di più.

Ma veniamo a questa settimana che è stata un po’ come il mio cane quando lo metto in castigo e fa la faccia da cinese. Tutto un po’ sottotono, poca gente in giro (pochissimi stranieri), molto marketing, pochi giornali distribuiti fuori dalla sfilate i e tante frasi del tipo “teniamo duro, arriveranno tempi migliori, noi andiamo bene malgrado tutto”. Quello che mi ha convinto di più è stato Mario Poletti Polegato, patron di Geox, che mi ha detto “noi continuiamo ad investire” e mi faceva vedere la nuova scarpa brevettata che si infila senza piegarsi e chiamava la modella per farle togliere e mettere la calzatura sempre più veloce. La moda italiana ha una corazza dura che sono questi imprenditori forti, appassionati del loro lavoro. Quando parli con un Ceo non è la stessa cosa. Chi ha la proprietà ha un modo diverso di parlare di un prodotto e la gran parte delle aziende di questo settore sono ancora gestite da componenti della famiglia. Ecco cosa distingue i fondatori dai fondi.

Pensavo a Franzi che nasce nel 1840, pensate creava i bauli ufficiali della Corona d’Italia. Oggi è di proprietà di Marco Calzoni, imprenditore milanese che ha rilanciato il brand e fa borse bellissime. Anche lui, alla presentazione nella suite Giuseppe Verdi al Grand Hotel et de Milan , era con i guanti bianchi a far veder il baule/mobile bar extra lusso a dei compratori americani, spiegando tutti i dettagli. Poi c’è Loro Piana che è entrato a far parte del del gruppo LVMH dopo che la famiglia ha ceduto tutto e, sotto la guida Antoine Arnault, ha presentato una collezione lussuosa dove il posizionamento è altissimo, volendo competere con Hermes. Ma come dicevo a Giuseppe Sperandio mentre stavamo bel bel giardino a bere qualcosa, salta all’occhio il grande lavoro di immagine e prodotto che solo con grandi budget riesci a fare. Non a caso mi diceva che quando era a Parigi lavorare in Dior era stimolante ma anche molto impegnativo, perchè i direttori creativi come Maria Grazia Chiuri sono delle vere e proprie archistar e i ritmi di questi grandi colossi sono velocissimi e non esistono orari lavorativi.

Ma veniamo a qualche nota su questa Fashion Week : 1) le tante iniziative di marketing proposte in città, trappole acchiappa like e strategie per una veloce comunicazione, ho visto persone che si sono fatte ore di coda per recuperare un girasole all’edicola di MVP wardrobe, presa d’assalto soprattutto da uomini che prendevano un fiore gratis da portare alla fidanzata ( mamma mia ragazzi spendeteli 2 euro dai!), cosa che se li metti in fila all’Ikea sclerano 2) Tornano di moda le perle, i capi lingerie, il color lilla. le trasparenze, il color cioccolato. Questo per quelli che devono sempre dire cosa è di moda. Per me ognuno ha fatto quello che voleva ed a mio parere si sono visti dei bei capi di pretendere à porter. Perché mi rifiuto di dire che la tendenza sono i gambaletti dai su … 3)i ricami d’alta moda da guardare da vicino, ad esempio sul bomber bianco di Scervino ( che tenerezza vedere Toni accompagnare Ermanno commosso alla fine della sfilata) oppure sulle scarpe, come i fiori applicati a mano sui sabot di AGL. 4) le sedute a sacco di Zanotta prodotte per Bottega Veneta, ho adorato vedere Julianne Moore e Jacob Elordi cercare una posizione elegante in front row per non sembrare seduti a bere una birra al Paradise Beach di Mikonos. Una Limited Edition venduta a 6000 euro cad. 5)Madonna che arriva da Dolce&Gabbana o Imane Khelif ospite di Bottega Veneta? Se devo dirla tutta voto la seconda, elegante, sorridente e felice di vedere una sfilata ed essere protagonista. Madonna coperta di pizzo e veletta anche no… più che “like a virgin” direi “like a boomer”.

Il tema dei giovani continua ad essere un dibattito aperto sotto più punti di vista: come formarli e farli lavorare nelle sartorie, come appassionarli alla moda e come generare nuovi talenti. Sul primo punto stanno facendo molto le scuole, proprio per le esigenze degli imprenditori, sono felice che Brioni abbia deciso di aprire una scuola di sartoria per creare il taylor made che ha bisogno di cura e precisione. Per quanto riguarda l’interesse dei giovani per la moda, un recente sondaggio di Deloitte mette in luce come la sostenibilità sia uno dei principali valori che guidano le scelte di acquisto di questa generazione, circa il 64% dei giovani della Gen Z è disposto a pagare di più per prodotti che rispettano l’ambiente e sono consapevoli dell’impatto ambientale della moda, con un crescente rifiuto per il fast fashion e con una preferenza per l’upcycling, l’acquisto di abiti di seconda mano e moda circolare.

Un’altra tendenza riguarda il desiderio di autenticità e individualità, capi che riflettano la loro personalità e lo stile unico. Ne parlavo con Fiorella Mannoia, ospite da Luisa Spagnoli, che piace tanto anche a questa generazione e le ho chiesto il suo segreto. Mi ha detto che lei è rimasta integra e fedele a se stessa e anche il suo look e gli abiti che indossa riflettono la sua personalità. Ritorna tutto, lei ha capi da 30 anni nel suo armadio che le vanno ancora bene ” oscillo da sempre tra una taglia 42 a una 44, ma per entrare ancora negli stessi abiti devo fare tanta fatica e stare attenta alla dieta”.

Ai giovani, soprattutto, non piace essere presi in giro e in questo momento di transizione gli stilisti hanno puntato su un prodotto “sano” non carico di fantasiose strategie commerciali ma pensato per durare nel tempo. Certo i fashionisti hanno gridato allo scandalo, ma come, non ci sono più idee, non ci sono stimoli, la creatività è morta… bla bla bla. Poi li vedi in giro con le loro giacche di Versace anni ’80 o il cappotto del nonno fatto rinfoderare perchè era un capo sartoriale in puro cachemire. E allora! Quando gli stilisti osano non va bene per la vendita, quando tirano i remi in barca non ci sono idee. Io dico che siamo in una fase di metamorfosi, la profonda crisi che stiamo affrontando è soprattutto dettata da un’indigestione di abiti e di acquisti fatta negli scorsi anni. Come il giorno di Natale che dopo pranzo se ti alzi da tavola e ti propongono qualsiasi cosa non ne vuoi sapere. Si devono ripensare bene i tempi della moda, il rapporto tra qualità e quantità di sfilate ( scusate ma c’era veramente bisogno della sfilata di Fiorucci? ) e più che pensare alla trimestrale occorre creare progetti nel lungo termine che riuniscano il prodotto alla figura del designer e alla storia dell’azienda, all’identità di un brand.

Cambiamo argomento, veniamo a delle cose divertenti che se no poi divento noiosa 1) Domenico Zambelli che mentre eravamo al Diana per vedere la collezione di Crida ha chiesto al cameriere con la solita aria ingenua un caffè lungo ” Amo, ma molto lungo perchè guardi a me piace così” e il cameriere tutto imbarazzato che non sapeva dove guardare e io e Rosi Geraci che eravamo piegate in due dalle risate. Sempre li Benedetta Parodi viene a salutare e complimentarsi con la sorella Cristina per la nuova collezione e chiede di farle una foto con il suo cellulare “Occhio che il mio cellulare è tutto sporco che quando cucino lo uso”, più che un Apple il suo è un modello Onion. 2) Durante la serata dei CNMI Sustainable Fashion Awards 2024 si sente dire ” attenzione sta arrivando la ferrari” ed Helen Nonini si gira verso di me e dice ” ma no hanno chiuso la piazza alle auto, la Ferrari non può entrare”. In realtà si parlava di Isabella Ferrari che stava arrivando sul red carpet… Helen io ti voglio come nuovo assessore alla mobilità ! 3) Io che mi emoziono mentre vado a fare la consegna del premio a Giorgio Armani e iniziano a scendermi dei lacrimoni. La mia omonima Cristiana Cavallari mi dice “Dai Cri forza ora non farti colare tutto il mascara !” Ed io ” Ma no! E’ waterproof !”, perché a certe emozioni bisogna arrivare preparate! 4) Lella Curiel che mi ruba il casco e se lo infila, troppo simpatica!

Sono stanchina sono rientrata dalle vacanze e non ho smesso di lavorare un giorno dal mattino alla sera, ma si dice ” mal comune mezzo gaudio” e vedo che sono messi un po’ tutti allo stesso modo. Ho visto anche le pr abbastanza provate avendo a volte eventi in contemporanea da gestire. Il problema è che spesso occorre fare tutto in prima persona perchè delegare a chi non è del mestiere può creare a volte situazioni imbarazzanti. Ad esempio Carlo Capasa seduto in prima fila viene controllato da una ragazza che evidentemente ignorava fosse il Presidente della Camera della Moda “Scusi mi può dire il suo nome ?” E lui gentilmente ha risposto “Capasa”. La ragazza ligia al dovere digita sull’iPad il nome CARPISA. Mi è venuta in mente la scena epica del Diavolo veste Prada quando Anne Hathaway riceve una telefonata e dice “Can you spell Gabbana?”.

A proposito di Capasa, ha fatto proprio bene a dare la regia dei suoi CNMI Sustainable Fashion Awards a quel genio di Marco Balich che, abituato ai grandi eventi sportivi ( mica Pizza e Boccia eh?) ha definito il timing perfetto (un’ora e mezza rispetto alle tre ore dello scorso anno) e una scenografia degna dell’Expo di Dubai, mancavano i droni a sorvolare i palchi della scala. Un po’ di posti vuoti, un finale un po’ troppo secco reso più leggero dal vincitore Brunello Cucinelli che, unico in italiano, ha ringraziato mandando un messaggio ai giovani ( ah comunque io Brunello l’ho premiato due volte e anche Renzo Rosso l’ho premiato in questa edizione, mi son sentita molto orgogliosa!). E tra cieli stellati (non la cena che quest’anno non è stata organizzata), bicchieri di Franciacorta e taxi introvabili la serata è finita senza troppe sorprese ma con tante belle foto da postare.

Chiudo con un grazie a chi incontrandomi ha avuto sempre una parola gentile e mi ha fatto i complimenti per questa edizione dei CHI E’ CHI AWARDS. Il mio grazie va sempre ai miei colleghi che si, hanno la loro bella personalità ma io li apprezzo proprio per questo e credetemi il fatto che mi supportino per me non è mai scontato e con molti di loro siamo cresciuti professionalmente insieme, per questo a volte mi permetto qualche confidenza in più. Grazie anche ai vincitori che, spogliati dal loro ruolo, si sono ritrovati in un contesto più familiare, riservato, dove il valore di quella targa stava nel sapere che qualcuno ha deciso che il loro lavoro andasse premiato. Non è il loro evento ma è l’occasione di far vedere la loro personalità, non devono dimostrare nulla, semplicemente essere loro stessi. E così Diego Della Valle che doveva andare via subito è rimasto per tutto il tempo, Renzo Rosso ha stretto la mano a tutti salutando affettuosamente, Maria Vittoria Mezzanotte si è talmente agitata che non ha letto una riga di quello che si era preparata, Francesco Risso aveva tutta la sua squadra ad applaudirlo mentre leggeva un suo messaggio in rima e Pierpaolo Piccioli, premiato alla carriera ha detto ” Ogni tanto bisogna fermarsi, osservare e poi ricominciare a cercare. E’ questo quello che fa uno stilista, creare qualcosa che rappresenti noi stessi ma che parli a tutti, raccontando il mondo in cui viviamo e quello che vorremmo“.

La famiglia di Davide Renne si è stretta nel ricordo di un fratello e di un figlio, il papà si è scusato con me “non ce la faccio a salire sul palco“, per poco dall’emozione non ce la facevo nemmeno io avrei voluto dirgli. Vi lascio con queste belle parole che ha letto Walter Chiapponi in ricordo dello stilista che abbiamo premiato alla memoria : “Penso che nessun’altra cosa ci conforti tanto, quanto il ricordo di un amico, la gioia della sua confidenza o l’immenso sollievo di esserti tu confidato a lui con assoluta tranquillità, appunto perchè amico. Conforta il desiderio di rivederlo se lontano, di evocarlo per sentirlo vicino, quasi per udire la sua voce e continuare colloqui mai infiniti.”

A volte dimentichiamo che esistono relazioni autentiche, non monetizzabili.

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