Ieri mattina Carlos Tavares, il ceo di Stellantis, ha nuovamente polemizzato con il Governo italiano – in modo quasi ricattatorio – con queste esatte parole: ”L’Italia dovrebbe proteggere meglio i suoi posti di lavoro nel settore automotive invece di attaccare Stellantis, solo perché produciamo meno nel vostro Paese”. E ha ancora aggiunto che, senza sussidi all’auto elettrica, i siti industriali lungo lo Stivale sono a rischio. Le intenzioni del manager, da tempo, ormai, sono note a tutti, preferisce gli stabilimenti francesi, a seguire quelli del Marocco o della Polonia in cui ha portato la Fiat 600. È più corretto precisare che dal momento stesso in cui il gruppo Fca è passato sotto Stellantis, la produzione nel nostro Paese è immediatamente crollata, il sito di Mirafiori, da essere stata un’eccellenza è un fantasma della nostra industria. Tavares vuole dunque più denaro, senza dettagliare un piano, quando si è trovato oltre 6 miliardi concessi proprio dal Governo. Pronta è stata la risposta del ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che ha voluto provocarlo dicendogli: “Se Tavares pensa che l’Italia possa entrare nel capitale di Stellantis come ha già fatto il Governo francese, possiamo sempre discuterne”. Con una nota forte è intervenuta Elly Schlein, che ha sollecitato direttamente il primo Ministro Giorgia Meloni “Basta con le chiacchiere, Tavares ha lanciato una sfida, il Governo la raccolga, si prenda sul serio la partecipazione italiana in Stellantis alla pari di quella francese”. Carlo Calenda, il leader di Azione, ha espresso, anche lui alcuni commenti: ”Come volevasi dimostrare tutte le promesse fatte da John Elkann stanno a zero. Ogni volta ripartiamo da capo, forse è arrivato il momento di mettere la questione Stellantis in cima all’agenda e proteggere i nostri posti di lavoro”. Anche Giuseppe Conte sollecita il Governo a trattare l’ingresso dello Stato in Stellantis. Ammesso e non concesso che questo avvenga nulla cambia per la produzione dei nostri impianti, anche la scusa di coprirsi le spalle con l’auto elettrica da parte di Tavares non ha nessuna fondatezza dopo le dichiarazioni del ceo di Toyota, Akio Toyoda che, nei giorni scorsi, ha lanciato un vero allarme proprio sui motori a zero emissioni: ”La transizione verso i veicoli elettrici costerà alle aziende miliardi di euro, una rivoluzione che potrebbe lasciare molte nazioni senza elettricità e senza alcun beneficio per l’ambiente poiché la fabbricazione delle batterie potrebbe aumentare le emissioni di Co2.” Uno scetticismo inconsueto per un giapponese che ha confermato con ulteriori dati, la quota di mercato che potranno raggiungere, al massimo, le auto elettriche: non supererà quota 30%, per cui vi sarà spazio per i motori ibridi o powertrain a celle combustibili a idrogeno o per i tradizionali benzina e diesel. Una voce autorevole arriva proprio dall’amministratore delegato di Toyota , Koji Sato che a gennaio aveva lanciato le sue previsioni per il marchio: entro il 2026 contavano di immatricolare 1,5 milioni di auto con la scossa e, entro il 2030, potevano essere 3,5 milioni, esattamente il 30% delle sue vendite nel mondo, consolidate nel 2022. Un panorama che vede i giapponesi, dopo cinque anni incontrastati in cui hanno sempre detenuto il primo posto per numero di macchine vendute nel mondo, battuti dalla Tesla Model Y, un suv che è divenuto un veicolo di massa. Anche il signor Musk, il padrone della società americana, però ha i suoi problemi, ha dovuto ritirare, a dicembre, oltre due milioni di veicoli per un problema con il pilota automatico, ne ha richiamati altri 200mila modelli S,X e Y per il software difettoso, tanto che ha dovuto dichiarare utili in calo e crollo in borsa, con le azioni crollate del 13,2% e le azioni che non superano i 180 dollari, in un colpo solo ha perso circa 19 miliardi di dollari. Assordante resta comunque il silenzio del “padrone” John Elkann che non apre bocca.