LA CRISI DELL’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA MONDIALE
di Bianca Carretto*
Colpo di freni, rallentamento, crash… paiono gli elementi più idonei per descrivere l’industria automobilistica mondiale nel 2024. Tutti i costruttori condividono l’identico giudizio per un anno particolarmente difficile, diviso tra una domanda globale dimezzata, sia per i veicoli termici che elettrici. Senza contare la pressione di Bruxelles per ridurre le emissioni di Co2 e l’offensiva dei concorrenti cinesi che hanno fatto scendere i prezzi. Un panorama che – di conseguenza – accelera i piani sociali e crea angoscia anche tra i produttori di componentistica, con Stellantis e Volkswagen in difficoltà, compreso il ritorno di Donald Trump al potere, con la minaccia di far rinascere lo spettro delle tariffe doganali.
I segnali non ingannano, l’evoluzione delle auto nuove in tutta Europa mostra un netto rallentamento della domanda, così come in Cina e negli Stati Uniti. Diversi analisti prevedono un calo della produzione mondiale dell’1,5%, con l’Europa ridimensionata insieme alla Corea e al Giappone. Secondo i dati pubblicati dall’Acea, l’associazione dei costruttori europei, le immatricolazioni di vetture nei 27 Paesi dell’Unione sono diminuite in Germania dello 0,5%, il più grande mercato del continente, in Italia dello 10,8%, solo la Spagna ha tenuto, segnando una crescita del 7,2%. Queste cifre hanno in pratica raso al suolo la progressione registrata nei primi mesi dell’anno e neppure qualche piccolo miglioramento osservato in ottobre ha cambiato il bilancio.
La frenata delle vendite – abbiamo detto – non ha risparmiato neppure gli Usa dove la pressione inflazionistica scoraggia gli acquirenti mentre Pechino vede un leggero aumento tra ottobre e novembre. La crescita che doveva essere rappresentata dai veicoli elettrici non è ancora partita, anzi, al contrario, si conferma l’apatia di questo segmento, pur con qualche nazione già ben elettrificata come i Paesi Bassi, la Danimarca, il Belgio, con il Regno Unito che continua a scegliere sempre più modelli alla spina, con aumenti mensili che superano il 24%. Purtroppo la dinamica cinese si sta esaurendo e le fabbriche locali ormai sovradimensionate girano al rallentatore. L’immensa nazione asiatica, con il suo quasi miliardo e mezzo di abitanti, ha rappresentato per lungo tempo un eldorado per i fabbricanti di auto. Senza prevedere che vi sarebbe stata una forte reazione, nel momento stesso in cui si sarebbe dotata di un’industria nazionale, degna di questo nome. Scommessa vinta a mani basse in grado di coprire anche i Paesi emergenti come il Brasile, l’Indonesia e la Turchia.
Diverse case stanno facendo pressioni su Bruxelles per posticipare di due anni la prossima scadenza normativa che dovrebbe portare al 100% le auto nuove ad emissioni zero, entro il 2035, data per ora confermata sulla fine delle vetture termiche. Un obiettivo considerato dalle aziende irraggiungibile, potrebbe costare la minaccia di milioni di tagli di posti di lavoro. L’aumento dei costi dell’energia, la mancanza di sussidi all’acquisto e una rete insufficiente di stazioni di ricarica impedisce agli europei il passaggio rapido all’elettrico. Purtroppo Stellantis, quarto costruttore mondiale, a causa della mala gestione dell’amministratore delegato Carlos Tavares – spinto a dimettersi dagli azionisti il 2 dicembre scorso – oltre a registrare una forte caduta in Borsa e immense scorte accumulate negli Stati Uniti, è sprofondato in una caduta libera che tocca particolarmente l’Italia dove la produzione in tutte le fabbriche lungo lo stivale è ferma. A Tavares sono stati dati troppi poteri senza che il comitato esecutivo e il consiglio di amministrazione abbiano esercitato una forma di contropotere. Si può guidare da soli la propria auto non un’azienda che fattura 200 miliardi di euro. John Elkann, il presidente esecutivo di Stellantis, ha ripreso il timone in attesa di trovare il sostituto di Tavares, ma bisognerà attendere almeno cinque/ sei mesi per conoscere il nome del successore.
*Giornalista Corriere della Sera