“Non c’è una foto di mio padre con la Coppa dell’Europeo vinto nel 1968. Dopo la conquista del trofeo, infatti, andò negli spogliatoi per consegnarla ai giocatori. Questa è vostra, disse ai suoi ragazzi”.
A parlare di Ferruccio Valcareggi è il figlio Furio, che ha fatto tappa al Museo del Calcio di Coverciano, e ci racconta il padre.
“Ferruccio era di poche parole, un uomo concreto, semplice e coraggioso. Per la ripetizione della finale dell’Europeo del ’68, infatti, cambiò 5 giocatori.”
Furio Valcareggi ricorda il momento della chiamata del padre a guidare la Nazionale: “Nel 1966 lo chiamò Artemio Franchi. Stavamo in piazza Fardella a Firenze e non fu facile rintracciare mio padre perché non avevamo il numero di telefono sull’elenco. Appena ci comunicò la notizia in famiglia fu una festa.”
Il legame con Firenze è nato nel 1940 quando da Trieste raggiunse in treno la città toscana. Alla Rari Nantes che frequentava con Gigi Raspini incontrò Anna. Stava nuotando in piscina quando mio papà la notò e fu un colpo di fulmine.”
Il calcio è stato un punto di riferimento nella sua vita.
“Iniziò però col basket – continua il figlio – con cui si laureò campione del Triveneto. A 17 anni esplode l’amore per il pallone. Lo scelse la Triestina. Felicità mista ad ammirazione per Nereo Rocco, che era il suo idolo.”
I ricordi sono vivi.
“L’ho seguito sempre sin da bambino anche nelle trasferte quando militava nei vari club e in seguito con la Nazionale. Ero orgoglioso di lui e non l’ho ringraziato mai abbastanza.”
Davanti alla maglia di Ugo Ferrante, la numero 6 indossata per il Mondiale 1970 esposta al Museo del Calcio, Furio Valcareggi ha gli occhi commossi: “Quell’abbraccio quasi inaspettato dal babbo resta indimenticabile. È quello che mi dette dopo la gara Italia-Germania del Campionato del Mondo in Messico nel 1970. La stretta energica era il suo modo di dire che era felice.”