2806 giorni dopo, Ibra è tornato! E lo ha fatto a modo suo, con un gol e quell’esultanza “facendo il segno di Dio”, come dice lui.
Una rete che in Italia gli mancava dal derby del 6 maggio 2012, ovvero 7 anni e 250 giorni. Perché “Ibra è Ibra”, come sostengono tutti quelli che hanno o hanno avuto a che fare con lui.
Personalità fuori dal comune, un carisma e un modo di essere che lo hanno reso unico nel suo genere. Puoi amarlo oppure odiarlo, ma è impossibile non avere rispetto per un uomo (a 38 anni non è certo più un ragazzino) che ha vissuto tante vite in una, sempre sfidando tutto e tutti, perché se non c’è qualcosa di grosso in palio, per lui non c’è gusto.
Ibra è fatto così, con quell’arroganza che è allo stesso tempo consapevolezza assoluta dei propri mezzi, perché, come ha scritto nella sua biografia “puoi far uscire un ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto da ragazzo”. E lui, nel ghetto di Malmoe, ci è cresciuto per davvero, nel quartiere di Rosengard, dove nessuno ti regala niente e fai bene a imparare in fretta la dura legge della strada.
Lui lo ha fatto, riuscendo poi a diventare ricco e famoso, ma l’essenza del ragazzo cresciuto in periferia se l’è sempre portata dietro, ovunque sia andato a fare gol. E ne ha fatti sempre tanti, ovunque: Olanda, Italia, Spagna, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, la sua carriera racconta la storia di un attaccante capace di segnarne 536 tra squadre di club e nazionale.
“E adesso tornate pure a guardare il baseball”, ha detto ai tifosi dei Los Angeles Galaxy al momento dell’addio, come dire che dal momento che la principale attrazione stava per fare le valigie non valeva più la pena seguire il calcio. Una tipica frase “alla Ibra”, di cui nessuno può dirsi stupito.
Ecco allora che a 38 anni si è rimesso in gioco, pur sapendo di trovare un Milan ben diverso da quello che aveva lasciato. Si sta prendendo lo spogliatoio sulle spalle, sta tirando su a modo suo il giovane Leao, uno che quando Ibra segnava il suo primo gol da professionista, nel 1999, era nato da 142 giorni.
Forse la più grande delle sue sfide, quella di ridare dignità a una squadra che negli ultimi anni ha collezionato tante brutte figure e poche soddisfazioni.
La vittoria a Cagliari potrebbe rappresentare la partita della svolta.
Ibra che segna, il simbolo di un Milan che vuole voltare pagina.