Sono quattro – disabilità, etnia, genere, età – gli ambiti rispetto ai quali studentesse e studenti dell’Istituto Europeo di Design di Milano sono stati chiamati a progettare in maniera “inclusiva”, nel primo semestre – appena concluso – dell’anno accademico 2020/21. È successo nel corso di progettazione dedicato all’Inclusive and Adaptive Design, una novità nei percorsi di studio dei Fashion Designer, che IED Moda Milano ha introdotto a ottobre 2020 al secondo anno della specializzazione in Shoes and Accessories Design.
Condotto dai docenti Mia Vilardo e Riccardo Polidoro (soci di Studio Elitre, realtà stilistica e creativa milanese attiva soprattutto nella ricerca di tendenze e nel design dell’accessorio), il corso di progettazione inclusiva pone l’accento su un processo creativo che porti a prodotti in grado di incontrare le esigenze di tutti, anche quelle di chi non si sente rappresentato dalla moda genericamente pensata per corpi perfetti o normodotati, tendenzialmente giovani e calati nella sola cultura occidentale, secondo proposte binariamente declinate in outfit uomo/donna.
Così, sul fronte delll’inclusività di genere, la proposta REN (dal pittogramma cinese rappresentante un essere umano connotato solo da braccia e gambe) va ad intercettare non solo le necessità di chi non si identifica distintamente in uno dei due generi sessuali, ma di chi si sente unico attraverso quello che sceglie di indossare, in un mix di capi e accessori che rispecchia la persona senza nette separazioni tra uomo e donna. Così zaini, borse e scarpe sono progettati per fondersi armoniosamente su qualsiasi corpo grazie a materiali termorestringenti e ad una elasticità performante; ogni modello di calzatura è previsto in numerazioni vastissime – dal 35 al 45; l’intercambiabilità di singoli elementi (dalle suole alle chiusure) consente di esprimere la propria personalità pur indossando uno stesso accessorio di base; le chiusure delle borse tramite impronta digitale rafforzano l’idea di individualità, a prescindere dal genere. Il concept di collezione “agender” (di Evelyn Bressan, Alessandro Martella, Sofia Peselli, Roberta Vagnoni) parte dall’idea di corpo come casa, luogo in cui essere davvero se stessi, liberi e nudi: nella storia di quasi tutte le culture del mondo la casa è accomunata dall’utilizzo di un materiale particolarmente malleabile – l’argilla – in grado di prendere qualsiasi forma, proprio come si punta a fare con questa linea di accessori.
Sul fronte disabilità, c’è chi ha immaginato un brand moda “per chiunque si senta sbagliato o non interamente rappresentato”. JFMP – Joy for mistaken people (proposta di Penelope Bazzani, Michela Polo, Jennifer Rossi, Federica Santangelo) punta a sovvertire le regole e a guardare le cose sotto una luce diversa, lavorando nello specifico sulla cecità e l’ipovedenza. Il concept di collezione By my eyes punta sui sensi altri rispetto alla vista utilizzando materiali dalla superficie irregolare e dettagli in rilievo, ossia elementi in grado di comunicare e far percepire bellezza anche attraverso il tatto, per accessori godibili davvero da tutti. Le indicazioni sui tessuti e i rispettivi colori sono scritti in linguaggio braille, ad ogni tinta è associata un’essenza profumata che consente di comprendere facilmente l’abbinamento cromatico che si indossa (l’azzurro profuma di menta, il grigio di timo, il rosa di pesca). Anche la tecnologia digitale è chiamata in causa: lo stivale Chelse, oltre a prevedere materiali di differenti texture per ogni zona della calzatura (in modo da farne capire la suddivisione col solo tatto), utilizza un GPS removibile e intercambiabile che comunica direttamente con un’app mobile, a sua volta in comunicazione con delle cuffiette attraverso cui l’utilizzatore ascolta le indicazioni circa la strada da percorrere e gli eventuali ostacoli presenti, per tranquilli spostamenti in città. Stesso principio vale per la linea di occhiali, che oltre a facilitare gli spostamenti grazie al GPS e ai suggerimenti di percorso in cuffia, è in grado di leggere libri ed etichette di prodotti tramite una telecamera anteriore e trasmetterne il contenuto via audio direttamente alle orecchie di chi li indossa.
Sulla via dell’inclusione etnica, il progetto To.get.there – Rebirth va invece a lavorare concettualmente per “unire” quanto sta alle radici più profonde dell’esperienza umana, ciò che accumuna tutte le culture (tanto a livello fisico, quanto spirituale). Ciò si traduce non solo nella scelta di tessuti realizzati a partire da elementi presenti in natura, ma anche nel riutilizzo, nella macinazione e nella lavorazione di scarti industriali e produttivi per ottenere, con gli opportuni leganti, nuovi materiali di progettazione: “Cosi come succede per l’anima, che con la reincarnazione torna a vivere, una occasione di riscatto, può esserci una seconda opportunità anche per i materiali di scarto che hanno il potere di rinascere in nuovi oggetti”, racconta il gruppo composto da Antonio Boffa, Greta Giampaolo, Alessia Molinari e Irene Molinari. Gli accessori sono inoltre inclusivi perché pensati per interconnessi tra loro: un codice allegato al prodotto consentirà a ogni acquirente di avere un’idea di chi e da quale parte del mondo ha acquistato un prodotto simile, in una simbolica unione tra esseri umani di diverse culture stabilita attraverso scarpe, borse a cappelli.
Il buon gusto e il saper essere d’ispirazione non hanno età: così, il gruppo di lavoro sul tema ageless (Simone Ricetti, Alice Marchetti, Alessandra Natalino, Martina Sagliaschi) ha immaginato AMAS, una gamma di accessori che siano assolutamente perfetti per tutte le stagioni della vita. Cosa accomuna davvero tutti più del gioco? L’idea di collezione parte da questa domanda e dalla certezza che la dimensione ludica può attraversare tutte le età. Così ogni accessorio è pensato per essere venduto con una scatolina gioco, un mazzo di carte che ricorda il memory e che suggerisce proprio il tema del ricordo e dei legami che è in grado di creare. Anche calzature e borse, in pelli vegane, rimandano al tema del gioco: le scarpe non solo presentano tacchi relativamente bassi per adattarsi a ogni camminata (e intercambiabili per diverse occasioni), ma sono “animate” da pedine che si ispirano al gioco del Forza 4, libere di muoversi nel tacco stesso; le borse a tamburello, con la loro ironia, riprendono invece struttura e meccanismi dello yo-yo.
Oltre a una profonda attenzione per la ricerca di materiali e processi produttivi sostenibili (raggiunta per l’80% almeno nelle proposte presentate), il percorso di Inclusive and Adaptive Design IED ha previsto – nella fase di analisi pre-progettuale – la conduzione di interviste a persone direttamente coinvolte nelle tematiche trattate, oltre a una serie di incontri ispirazionali con protagonisti del mondo del fashion attivi su ciascuno dei pilastri dell’inclusività considerati, e che a loro volta hanno sperimentato in prima persona situazioni legate al bisogno di inclusività. Tra questi il designer siriano Assaad Kalhaf, artefice di un lavoro creativo che lo porta ad agire come un “ambasciatore” della bellezza del suo Paese in Italia (spesso associato solo ad immaginari traumatici, bellici o comunque negativi): le collezioni possono farsi dunque veicolo di valori culturali altri, sconosciuti e positivi, senza sfociare necessariamente in prodotti dal “design etnico”. Sul fronte genderless – con una attenzione alla progettazione fluida, che intercetti entrambi i sessi e li fonda insieme – il contributo è stato fornito dalla designer neo donna Egy Cutolo. La giornalista e fashion stylist MiIva Gigli è intervenuta infine sull’età, sul tempo: così come è possibile mixare generi e culture diverse, progettare senza tempo significa creare accessori che permettano a una giovane donna di rafforzare il proprio carattere, ma al tempo stesso di valorizzare l’aspetto di una persona “più esperta”, preservandone la maggiore attenzione alla comodità.
“È stata una riflessione attenta sul tema dell’Appropriazione Culturale a confermarci quanto sia ancora più importante educare e illuminare la nuova generazione di designer, farle comprendere che progettare una collezione moda non è solo un’azione estetica o personale, ma un processo più complesso che prende spunto anche da previsioni di cambiamento legate alle attuali condizioni sociali – commenta Alon Siman-tov, Coordinatore del Corso di Shoes and Accessories Design IED Milano.- Da diverso tempo l’ingiustizia sociale, le diversità di genere, i diritti delle minoranze e le disabilità hanno iniziato a modificare il nostro modo di pensare e impattano sulle nostre scelte quotidiane e personali, soprattutto nell’ultimo anno di pandemia. Il sistema moda, come lo conosciamo, va rivisto; e chi può fare meglio in questo senso se non la prossima generazione di designer?”.