Moda

Gen 16 IL CAMBIAMENTO NON PASSA SOLO DA UNA FERRARI A UNA TWINGO.

di Cristiana Schieppati

Solo i più saggi o i più stupidi degli uomini non cambiano mai” diceva Confucio. Il cambiamento è per la moda il mezzo con cui si identifica con la società, con l’evoluzione o con la cultura che si aggiorna. La prima fashion week del 2023, quella dedicata all’uomo, quella che se vogliamo è un piccolo accenno di dove si indirizzeranno le tendenze future, ha dato segnali molto diretti.

Prima di tutto in termini di proprietà. Sia dai grandi gruppi come Kering ed LVMH sono arrivati segnali decisi sui ruoli di comando. Chi detiene il potere sceglie chi resta e chi se ne va e, soprattutto che direzione prendere per incontrare il consumatore al quale bisogna far tornare la voglia ( e anche il budget mi vien da dire …) di comprare per tenere alti i fatturati.

La strada da percorre passa per un nuovo stilista, un nuovo direttore comunicazione, un rampante direttore marketing, un digital specialist, e un bravo ceo che organizzi al meglio le strategie. Non è un caso che nelle scuole di moda anche gli studenti che studiano comunicazione vogliono fare business, vogliono lavorare nella parte strategica. I giornalisti e i pr? Non li vuole quasi fare più nessuno, un po’ perchè non ci sono posti di lavoro e un po’ perchè c’è troppa instabilità.

Ma non divaghiamo, torniamo al concetto di cambiamento che per alcuni è una notizia, per altri è un affronto culturale politico che blocca la naturale evoluzione della specie che di solito vede in qualche esponente politico il responsabile della mancata metamorfosi dell’Italia in un paese moderno. In anni dove le novità sono state “legalizzate” con ogni forma di comunicazione, ci troviamo oggi a prendere atto che “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” . Così condanniamo il principe che scrive la biografia destabilizzando la monarchia inglese ma ne restiamo affascinati, ci lanciamo su nuove piattaforme social per cercare altri punti di vista, per trovare altri motivi di intrattenimento. Ci facciamo trascinare dai meme di una coppia in crisi e ci chiediamo anche noi se siamo un Rolex o un Casio, una Ferrari o una Twingo: brand che diventano sinonimi di un valore sociale.

In molti rinnovano la loro immagine mandando newsletter come se si trattasse di lungimiranti mezzi di comunicazione a basso costo, per dire la propria e mandarla nell’intimità di un cellulare. Ci troviamo a rispondere a messaggi su whatsapp, in direct su instagram, in diretta nella live, su facebook. Ovunque si accende una notifica che reclami la nostra attenzione. Eppure cosa è cambiato se ci sono in circolazione i maranza 2.0 ? Cosi ben definiti da Vogue.it “Sono spesso in tuta, con catenine dorate e borselli griffati. E quando aprono bocca per dire frasi come “hey bro c’hai una siga??” (dove “bro” significa “brother”, abbreviazione di fratello in inglese e dove “siga” si riferisce a “sigaretta”) ogni dubbio svanisce: stiamo parlando dei maranza. Un termine prettamente lombardo (e in particolare milanese) – che in altre città viene espresso con “coatto” o “zarro”, come scrive la Treccani – per riferirsi a quei giovani dall’atteggiamento spavaldo e un po’ zotico, che paiono bighellonare e che si interessano a quella musica trap (e drill) che racconta in rima fatti accaduti ai margini della città.”  

Sono quelli che la moda ha tentato in tutti i modi di vestire per anni, gli stessi che oggi la stessa moda vuole convertire a persone eleganti offrendo loro il nuovo classico. I giovani su cui la moda ha puntato nel pre pandemia sono quelli che sono stati sfruttati da chirurghi plastici compiacenti che hanno trasformato il viso delle ragazzine in filtri all’acido jaluronico, ragazzini stanchi che hanno dato colpa ai genitori per la mancanza di successo, a ragazzi a cui viene data l’opportunità di finire in televisione e poi se ne fregano se sono filmati dalle telecamere e cercano lo sballo sniffando una noce moscata per sentirsi allegri. Questa generazione qui, compiaciuta da una moda che ne ha affiancato le trasgressioni senza permettere loro di crearsi uno stile, senza educarli ad abbinare gli abiti alla loro personalità, sono gli stessi ragazzi che promuovono il fake su Tik Tok e che cercano fortuna esclusivamente sui social, magari facendosi fotografare le parti intime su OnlyFans. Sono incappata in una ragazzina che diceva che guadagnava 20.000 euro al mese su questa piattaforma e che quindi poteva comprarsi tutte le Louis Vuitton e le Chanel che voleva. Come dire che tu sei una sfigata se lavori onestamente e magari la borsa griffata te la fai regalare per la laurea.

A loro è dedicata la sfilata di Giorgio Armani, un richiamo a un’epoca fatta di eleganza “Non si è conservatori se ci si veste bene, se ti siedi a un tavolo importante devi essere vestito bene” dice lo stilista. A loro è dedicato il nero di Dolce & Gabbana e il moderno classico di Prada che si evolve conservando la sua modernità. A loro è dedicato il reset di Gucci, in attesa della nomina del nuovo designer, così diverso da come l’aveva interpretato Alessandro Michele, che a sua volta era così diverso da Tom Ford e che al suo debutto aveva fatto mancare l’ossigeno a non pochi addetti ai lavori. Perchè il cambiamento non può cancellare il passato se no non esiste l’evoluzione, questo è il messaggio più importante di queste sfilate uomo. La base su cui ha lavorato Marco De Vincenzo nel ridisegnare Etro, senza cancellarne i codici stilistici.

Sono passaggi lenti ma significativi di un cambio generazionale che non deve essere tranciante, come è avvenuto con l’avvento dei social. Deve essere un passaggio culturale al quale tutte le generazioni sono invitate.


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