Da Emilio Pucci hanno recentemente annunciato che, stagione per stagione, saranno chiamati designer diversi a recuperare e rielaborare a proprio modo l’heritage del marchio. La prima guest designer, per la stagione fall/winter 2020-21, sarà Christelle Kocher di Koché. La notizia sembra quasi fare di un vizio una virtù, visto che la casa di moda ha cambiato ben sei direttori creativi in venti anni senza riuscire a trovare davvero la propria strada.
Del resto, ad altre aziende avere degli special guest è tornato davvero molto utile. Vedi alla voce Moncler Genius, dove il vero genio è stato Remo Ruffini a invitare a collaborare tanti stilisti con visioni diversissime, che hanno contribuito a ridare smalto e appeal al piumino col gallo.
Altro esempio virtuoso è Tod’s, dove ormai si attende con più curiosità la prossima collaborazione di Factory che la sfilata in passerella. Diego Della Valle ha coinvolto Alessandro Dell’Acqua ed è riuscito anche nell’impresa impossibile di riportare Alber Elbaz sotto i riflettori.
Lo stesso Jean Paul Gaultier, a margine del suo ultimo show haute couture, pochi giorni fa, a Parigi, ha dichiarato di voler far altro, ma si è lasciato sfuggire che la sua casa di moda continuerà. Probabilmente in altre forme e modi, magari con alla guida direttori creativi a scadenza.
Sempre nella capitale francese, a settembre, Dries Van Noten ha aperto il suo show a Christian Lacroix e i tratti estetici dei due designer si sono splendidamente e poeticamente compenetrati. Barocco e intellettualità, ma soprattutto rispetto e stima reciproca.
Quelli che sembra ci siano tra Miuccia Prada e Raf Simons, che in molti vedrebbero in arrivo da Miu Miu. Quelli che sicuramente ci sono stati tra Silvia Venturini Fendi e il designer giapponese Kunihiko Morinaga, fondatore del brand Anrealage, mentre si consultavano su alcuni capi e accessori fotocromatici proposti sull’ultima passerella maschile di Fendi.
Da Valentino Pierpaolo Piccioli aveva fatto addirittura il bis, collaborando col marchio tedesco Birkenstock e con uno degli stilisti di moda concettuale più acclamati come Jun Takahashi di Undercover, mentre da Dior Homme Kim Jones ha chiamato Matthew Williams e Yoon Ahn.
Nella campagna primavera/estate 2020 di Givenchy le due star sono Charlotte Rampling e Marc Jacobs. Ma Claire Waight Keller non è stata la prima a scegliere per l’advertising della maison francese un altro designer. Già in passato Riccardo Tisci aveva scelto come musa Donatella Versace.
Invitare un guest designer esterno, magari dalla visione estetica completamente diversa, ha il vantaggio di aprire (e far conoscere) maggiormente il marchio al mondo, ampliando il pubblico e i possibili acquirenti. Inoltre, permette di rinnovare il linguaggio di uno stile, che, a lungo andare, potrebbe risultare stantio.
Insomma, nessuno si salva da solo. Gli appuntamenti di fashion week, capsule, prefall, cruise e via dicendo incalzano e affannano agende già piene di persone che, in quanto creative, avrebbero a volte bisogno di fermarsi senza farsi schiacciare dalle catene di montaggio di abiti, accessori e fatturati. L’heritage, la parola magica che sta decorando e infarcendo tutte le cartelle stampa, inizia a diventare un fardello pesante nel costante dubbio se vada rispettato o, invece, antichi fogli, disegni e manichini vadano scartabellati una volta per tutte, un po’ dimenticati o, almeno, validamente rivoluzionati.
Come un vampiro la moda e il sistema che essa stessa ha creato hanno bisogno di sempre nuova linfa creativa. La soluzione più immediata è trovarla in qualcuno di esterno, che collabori per il tempo di una passerella e, proprio perché si avvicina al marchio per un tempo limitato, non prova particolari preoccupazioni, ansie da prestazione o timori reverenziali. Anzi, si diverte, fa qualcosa di diverso e può eccedere fino a quei fuochi d’artificio che tutti sembrano sempre pretendere alla fine di una presentazione o di un fashion show.