Da qualche giorno si aggira, per le strade di Roma , di Bologna e nei suoi dintorni, con la massima discrezione, una troupe cinematografica della società di produzione Jiva Maya Religion of Sports che ha sede nel Regno Unito e negli Stati Uniti, diretta dai registi Manish Pandey ( si è occupato già di Senna e Lucky, ha realizzato un documentario su Bernie Ecclestone e la Formula 1) e da Christopher M Amstrong. Seguendo le attrezzature e le macchine da presa è stato facile scoprire che filmavano luoghi molto circoscritti, tutti legati a Luca Cordero di Montezemolo che nella capoluogo emiliano è nato, dove ama rifugiarsi nella sua casa di Pianoro, situata all’inizio delle colline emiliane, Il dubbio che il protagonista del lungometraggio fosse proprio lui, è divenuto certezza. Di antica famiglia nobile, un marchesato di origine piemontese, Montezemolo è stato inserito dal Financial Time nella lista dei cinquanta manager più importanti al mondo e nel 2015 è entrato a far parte della Automotive Hall of Fame di Detroit, l’ onorificenza più prestigiosa dell’industria automobilistica internazionale. Il suo nome è legato e lo sarà per sempre ai bolidi rossi di Maranello, quelle Ferrari ancora tanto amate, anche se l’attuale proprietà ha impedito di girare delle scene all’interno dello stabilimento. In quella fabbrica Montezemolo era entrato nel 1973 scelto personalmente da Enzo Ferrari come suo assistente. Per poi divenire, in seguito, direttore sportivo, poi presidente e amministratore delegato.
Per 23 anni prosegue la sua carriera all’interno delle mura di Maranello, apprezzato anche per suoi modi aristocratici, eleganti, raffinati, vincendo, in totale, ben 19 trofei tra Campionati Mondiali Costruttori di F1 e Campionati Mondiali Piloti, consentendo alla Ferrari di conquistare un blasone unico, nel mondo. Possedere una Ferrari implica ancora oggi, un riconoscimento sociale, è la simbologia di uno status, un timbro indelebile che ha stampato il nome Montezemolo. Qualità che lo rendono sempre più legato all’avvocato Gianni Agnelli che, sicuramente, vedeva in quel giovane appassionato, entusiasta, pieno di inventiva, il figlio che avrebbe desiderato come suo successore, capace di essersi scelto collaboratori come Jean Todt e piloti come Michael Schumacher, e Nicki Lauda. La sua formazione manageriale si completava con le esperienze effettuate come responsabile delle relazione esterne della Fiat, come amministratore delegato di Itedi, la holding che controllava il quotidiano La Stampa. E’ stato presidente della Fieg, la federazione Italiana Editori Giornali, amministratore delegato della Cinzano International, ha organizzato la partecipazione all’American Cup di Vela con l’imbarcazione Azzurra, si è occupato del campionato mondiale di calcio 1990. Nel 2004 viene nominato presidente del gruppo Fiat, ed eletto presidente di Confindustria, carica che manterrà per quattro anni . Investe con Diego Della Valle e Paolo Borgomanero sull’Acqua di Parma, riportandola ad essere un profumo esclusivo dell’alta società. Un curriculum che nessuno possiede. Proprio nel 2004, dopo la morte di tutti gli eredi maschi della discendenza Agnelli, la sera della scomparsa di Umberto Agnelli, Susanna Agnelli, la sorella dell’avvocato, raduna tutta la famiglia – ormai solo donne – e chiama Luca. La Fiat era in cattivissime acque e Susanna chiese a Montezemolo di assumersi le responsabilità di quell’azienda sull’orlo del fallimento. Luca riflette qualche minuto e poi da il suo assenso, per quel senso del dovere e di riconoscenza che lo ha sempre accompagnato.
Contemporaneamente, quel giugno 2004, segna l’ingresso di Sergio Marchionne, come amministratore delegato del gruppo Fiat, praticamente uno sconosciuto , capace però di risanare conti e salvare bilanci. Inutile fare inconsistenti giri di parole per dire che i due personaggi si sono sempre sopportati a mala pena, molta colpa va data a Marchionne che, appartenendo ad una scuola totalmente differente, non aveva ancora compreso che l’Italia, la Fiat e gli Agnelli, appartenevano ad un cosmo unico, non era capace di nessuna forma di convivenza diplomatica e non sopportava di dover condividere il potere con altri, la sua forza e la sua debolezza. Dal gruppo aveva deciso di scorporare la Ferrari per quotarla alla borsa di New York, un’azione assolutamente non ritenuta necessaria e non approvata da Montezemolo. Per rompere il rapporto Sergio ( spinto dagli azionisti, per poi dire, sotto i pini del Pincio, a Roma, nella sua ultima apparizione pubblica, di essersi vergognato quel giorno come un ladro) non trovò altra soluzione se non quella di esprimere il suo pensiero, direttamente ai giornalisti “ I risultati economici sono buoni, ma nel caso della Ferrari devono essere valutati anche i risultati sportivi: sono sei anni che non vinciamo pur avendo i migliori piloti del mondo”. E, sibillino, proseguì, dicendo “ il cambio della presidenza non è in agenda, ma nessuno di noi è indispensabile”. Il giorno dopo Montezemolo lascerà la guida della Ferrari, assunta poi da Marchionne.
La ferita è ancora aperta, una cicatrice profonda, difficile da rimarginare, per il modo con cui sono state violate le leggi morali che, da parte sua, si basavano su stima ed affetto. La sua reazione non si è fatta attendere: ha fondato Italo, di cui è presidente esecutivo, la maggiore privatizzazione italiana ( dopo la televisione) di una rete ferroviaria ad alta velocità in Europa. A bordo è salita la Mediterranea Shipping Company (Msc), il colosso della logistica controllato dalla famiglia Aponte che ha rilevato dal fondo americano Gip (con cui Msc é già in affari nella gestione dei porti) il 50%, un accordo di oltre 4 miliardi. Il bilancio 2023 si è chiuso con un utile di 161,2 milioni di euro, in crescita rispetto ai 116, 3 milioni dell’esercizio precedente. In dieci anni sono stati trasportati oltre 100milioni di viaggiatori, con una rete che si avvale di 53 stazioni in 48 città , collegate da 116 tratte al giorno, grazie ad una squadra di 1600 dipendenti. Dati che determinano il successo di un progetto, in termini di soddisfazione del cliente, del rispetto degli obiettivi, della qualità del servizio e del valore generato.