Il ricordo del pilota scomparso 34 anni fa, era il 14 maggio del 1986, fu vittima di un gravissimo incidente: mentre percorreva il lungo rettilineo del Paul Ricard, la pista francese su cui stava conducendo una serie di test, la sua Brabham perse l’alettone posteriore. La monoposto impazzì avvitandosi per aria, cappottò sei o sette volte finendo la corsa contro le barriere, 250 metri più avanti, incendiandosi.
Era l’11 maggio 1986, giorno del G.P. di Monaco. La Brabham BT55, motorizzata Bmw, progettata da Gordon Murray si era dimostrata scarsamente competitiva ed aveva conquistato, con Riccardo Patrese solo un sesto posto nel precedente G.P. di San Marino. Elio De Angelis, invece, era rimasto a secco. Anche GP di Monaco per la Brabham Bmw non fu particolarmente felice: Patrese ruppe la pompa della benzina e fece solo 38 giri. De Angelis fu tradito dal motore. Così il team manager Gordon Murray aveva deciso di effettuare, dal 13 maggio, una seduta di test sulla pista francese del Paul Ricard, a Le Castellet.
Gordon Murray aveva ideato una vettura totalmente nuova, molto bassa, che obbligava il pilota in posizione quasi sdraiata e per questo fu soprannominata sogliola. Allo scopo i tecnici Bmw avevano progettato un nuovo motore inclinandolo di 72 gradi su un fianco, per poterlo installare sulla vettura. Con ciò, Murray tentava di rendere più “puliti” i flussi d’aria durante il movimento e ottenere una maggiore deportanza. Per la prima volta su una Brabham il telaio era tutto in fibra di carbonio. Quel giorno a Montecarlo, dopo il gran premio, Elio chiese a Patrese: “Riccardo so che Gordon ti ha convocato per i test al Paul Ricard, se non ti dispiace facci andare me che sono ancora molto fresco di Brabham”. Patrese acconsentì senza problemi.
Cominciarono i test a Le Castellet ma il 14 maggio Elio fu vittima di un gravissimo incidente: mentre percorreva il lungo rettilineo del Paul Ricard, la Brabham perse l’alettone posteriore, la monoposto impazzì avvitandosi per aria, cappottò sei o sette volte finendo la corsa contro le barriere, 250 metri più avanti, incendiandosi. Diversi piloti, tra cui Alan Jones e Nigell Mansell si fermarono a prestare soccorso e Alain Prost cercò di estrarre De Angelis dall’abitacolo nonostante le fiamme, senza riuscirvi.
Nonostante la speranza di un miracolo, il giorno dopo Elio de Angelis cessava di vivere all’ospedale di Marsiglia, dov’era stato trasportato, come un matador ucciso da un toro d’acciaio. E Riccardo Patrese, per settimane e settimane rimase angosciato al pensiero che quell’incidente, senza quel cambio, avrebbe potuto subirlo lui.
Elio de Angelis, 28 anni, aveva corso con Shadow, Lotus e Brabham, aveva vinto due Gran premi (Austria e Imola), aveva conquistato tre pole position. Era stato certamente un ottimo pilota ma, più ancora, un grandissimo personaggio: un ragazzo serio, posato, un «professionista di grandi qualità – come ebbe occasione di scrivere allora, sul Corriere della Sera, Luca di Montezemolo – che ha pagato con la vita la mancanza di professionalità che spesso accompagna lo sport forse più pericoloso del mondo».
Figlio di Giulio De Angelis, campione della motonautica salito alla ribalta non solo per le sue vittorie iridate ma anche perché vittima di un rapimento da parte di banditi sardi, Elio si era messo subito in evidenza con la Formula 3. Girava l’Europa col jet del padre, ospitando a bordo i suoi due grandi amici, Nelson Piquet e Piercarlo Ghinzani. Vinse, Elio, il Gp della Lotteria a Monza: lui, miliardario, aveva dispensato i miliardi del concorso nazionale. Un bel titolo per le pagine sportive del Corriere. Mi vide un giorno, in Germania, e mi disse: «Sai che quel titolo non riesco a perdonartelo? Non mi va giù di essere definito un miliardario per i soldi di mio padre e non un pilota. Il patrimonio di famiglia ti può anche aiutare, ma per andare avanti ci vogliono le qualità. E tutto ciò che mio padre mi ha dato, io gliel’ho già restituito».
Un giorno, al Corriere della sera, arrivò suo padre Giulio. Mi disse: “Vorrei parlarle di mio figlio Elio, correrà in formula 1 e ha doti per diventare campione del mondo”. Aveva il pudore di essere come tutti gli altri piloti: quando approdò in Formula 1, nel 1977, Elio non usò più il jet del padre e raramente, sugli aerei di linea,viaggiava in prima classe.
Elio era anche un eccellente pianista. Chi ha frequentato la Formula 1 dei primi anni 80, non può dimenticare come interpretò le musiche di George Gershwin durante uno sciopero dei piloti, a Johannesburg in Sudafrica, per via di una superlicenza imposta da Jean Marie Balestre che nessuno voleva accettare.
I piloti si erano radunati in un grande albergo rifiutandosi di partecipare alle qualificazioni. Elio aveva trovato un pianoforte nella grande hall e aveva cominciato a suonare, le note portavano nell’aria la dolcezza dell’indole di quel giovane romano che si esaltava completamente solo al volante di una F1 e alle imprese della Roma: quando la squadra, allora allenata da Liedholm, vinse lo scudetto, Elio issò il gran pavese sulla sua barca a Montecarlo: una bandierona giallorossa con tanti di Lupa e SPQR.
Aveva una fidanzata tedesca, bellissima, Ute Kittelberger, e un amico intimo e fraterno, Louis Ruzzi, un giovane ingegnere argentino che dopo la morte di Elio sparì da un mondo che forse gli ricordava solo dolore.
Negli anni in cui corse, ebbe solo un’avversione, quella per Ayrton Senna che ebbe compagno di squadra alla Lotus, beniamino dei tecnici e dei meccanici. Mi accorsi di questa avversione a Montreal, nelle qualifiche del G.P. del Canada 1985 in cui De Angelis conquistò la pole position. Elio scese dalla Lotus e si rivolse Mansell dicendogli: “Ecco Nigell, la risposta di noi vecchi al ragazzino presuntuoso”. Il ragazzino era Ayrton Senna.
Quando Elio conquistò la vittoria a Imola, nel GP di San Marino, successe una cosa curiosa che spiega benissimo la foto tratta da Autosprint e inviatami da Lino Ceccarelli, allora radiocronista di Rai 2. Sul paddock, subito dopo l’arrivo, c’era Alain Prost, che credeva di aver vinto, perché aveva tagliato per primo il traguardo davanti a Elio. Ma Prost non sapeva che i commissari avevano trovato la sua McLaren sottopeso e lo avevano squalificato. Fu Lauda, come immortalò la foto di Autosprint, a dire al francese sbigottito, indicando De Angelis che stava rispondendo alle domande di Ceccarelli, “guarda Alain, che ha vinto lui”.
Da 34 anni Elio De Angelis non è più con noi, e sembra ieri. Discreto e gentile, non ci ha mai importunato in questi lustri suscitandoci, dentro, reminiscenze segrete per dettarci libri e libretti. Lui torna così, all’improvviso, a metà del mese di maggio: per farci capire che è morto ma non è scomparso dal cuore dei veri appassionati di formula 1.