“Ruota a ruota, ruota a ruota!”. Chiunque segua la Formula 1, sa perfettamente che questa frase può appartenere a una sola persona. Carlo Vanzini, la voce nelle telecronache su Sky. Il suo conteggio dei semafori che si accendono in attesa della partenza (“…tre, quattro, cinque, allo spegnimento il via del gran premio…”) è famoso almeno quanto quel grido, “Fucsia!”, quando durante le prove un pilota sta facendo segnare il miglior tempo in un settore della pista. Modi di dire entrati ormai nel gergo comune, grazie a una presenza fissa nelle case degli italiani durante la stagione dei motori. Ma Carlo Vanzini è anche molto altro, con un passato da sciatore professionista e una passione sfrenata per lo sport, lui che, passando per le Olimpiadi, si è ritrovato sui circuiti di Formula 1.
Sei il volto e la voce di Sky per la Formula 1, ma il tuo primo amore è stato lo sci. Come sei passato ai motori?
“Sono cresciuto in una famiglia appassionata di motori, da mio papà, crossista amatoriale a mio nonno, da carrista della seconda guerra mondiale a fondatore di una delle prime agenzie per pratiche auto a Milano del dopo guerra. Ho passato quindi il tempo su e giù per le montagne, d’estate, con minimoto, trial ed enduro o da piccolino a mettere i timbri sulle richieste patenti in ufficio, così per gioco. Insomma i motori ci sono sempre stati, così come la domenica, sempre con un bel gruppo di amici, non mi sono mai perso un gran Premio. Ho fatto un’altra carriera, da sciatore, e in quel mondo ho iniziato a muovere i primi passi giornalistici da free lance. Nel 1996 è iniziata una bella collaborazione con RTL 102.5 e un anno dopo il proprietario, Virgilio Suraci, mi chiede, vista la non sovrapposizione tra le stagioni dello sci e della F1, se ci capivo qualcosa di motori. Via! Occasione presa al volo perché partiva un importante progetto legato alla Formula 1. Diciamo che mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto”.
Nel tuo palmares professionale hai anche le Olimpiadi
“Sì, ed è stato molto emozionante poter essere la voce, non solo dello sci, ma anche delle cerimonie di apertura e chiusura di Vancouver, Londra e Sochi. Brividi e qualche lacrimuccia”.
La tua prima telecronaca di un gran premio?
“Nel luglio del 2007, a Silverstone. Ero spaventato, per la prima volta mi sentivo tanto sotto pressione in un evento che non fosse una delle altre di sci alle quali ho preso parte. Il fatto di iniziare dal venerdì con le prove libere mi ha sciolto e con la determinazione si supera anche l’emozione. Mi sono fermato a guardarmi intorno mentre salivo le scale che portavano alla postazione di commento. Sono stato lì per 10 minuti pensando a che cosa di grande mi stava capitando, per vivere in tutto e per tutto quel momento. Ce l’ho ancora stampato nella mia memoria, poi un bel sospirone e via a completare gli ultimi gradini. Sono arrivato con il fiatone, neanche avessi scalato l’Everest, ma per come sono cresciuto e per come ho dovuto muovermi da solo in un mondo, quello giornalistico, a me sconosciuto, era davvero come se avessi raggiunto una vetta. Poi da buon amante della montagna so che la discesa a volte è più pericolosa della salita, per questo ancora oggi cerco di essere diverso e migliore da un gran premio all’altro, poi se ci riesco non sta certo a me dirlo”.
Il pilota del passato cui sei più legato?
“Indubbiamente Piquet, mi faceva impazzire con le sue interviste con il mitico Ezio Zermiani sulla griglia di partenza. Sapevo tutto di lui e avevo tutti i modellini delle sue macchine. Un grande!”.
E quello attuale?
“Adesso amo chi fa qualcosa di speciale. Kimi, Lewis, Charles, Max, ma anche un giovanissimo come Norris. Ritrovo in loro lo spirito del pilota, ma anche di persone uniche nel loro essere animali dell’asfalto. Non ne ho uno in particolare”.
Che cosa ha significato nell’ultimo periodo fare le telecronache da studio e non più sui circuiti?
“Adattamento alla situazione Covid e alle restrizioni imposte. Ci siamo inventati un muretto box, riesumando quello della Ferrari campione del mondo 2004. Mi sento molto a mio agio lì perché mi fa sentire in pista. Se ci sono problemi più grandi bisogna saperli trasformare da ostacoli in opportunità. Certo, mi manca la chiacchiera da retro box e il momento in cui sto in pit mentre escono le macchine, ma nessun rimpianto”.
Credi che si tornerà a vedere gli autodromi pieni?
“Sì e lo spero tanto perché sarà evidentemente la fine di incubo storico nel quale ci siamo ritrovati”.
I problemi della Ferrari attuale nascono dal controverso accordo con la Fia?
“Al 75% sì, l’altro 25% devo ancora capirlo. È una situazione davvero di difficile lettura sia per prestazioni che per reazioni che non si vedono”.
L’impressione è che in Ferrari stiano già pensando alla rivoluzione del 2022, è così?
“A parole loro è così, ma Ferrari può saltare a piè pari un anno? Boh, non lo capisco davvero. Ok, il 2022 sarà una rivoluzione e un’opportunità per fare meglio, ma non si può a prescindere rinunciare a essere competitivi così”.
Il tuo sogno professionale?
“Lo sto vivendo, ma è bene stare sempre alla finestra per vedere se si aprono nuove opportunità che possono portare nuove sensazioni. Ho la fortuna di poter lavorare per emozioni e qualsiasi cosa farò in futuro se mai cambierò dovrà farmi emozionare. Non ho mai fatto scelte per soldi e ho rinunciato in passato a proposte ben più pagate ma assolutamente meno appaganti. Ho la fortuna di fare quello che amo, parlare di sport! Sogno di poter un giorno vedere inserita la storia dello sport italiano nei programmi scolastici…la nostra è bella intensa e lo sport offre grandi opportunità di lavoro a 360 gradi, ma di base mi piacerebbe sapere, anche in minima parte, di contribuire, con il mio lavoro e la mia passione a portare un po’ di cultura sportiva, in una paese come il nostro dove siamo più tifosi che appassionati”.