Si fa presto a dire procuratore. Ma dietro un termine ormai diventato parte del linguaggio comune, si nasconde una professione affascinante e unica nel suo genere, che richiede sacrificio, applicazione, totale disponibilità per risolvere piccoli e grandi problemi. Il procuratore non è soltanto colui che porta alla firma di un contratto, ma è la figura chiave per il prima e il dopo. I calciatori si affidano a lui come a uno di famiglia, perché durante la carriera l’agente è uno di famiglia, un conoscitore dei più profondi segreti di quei ragazzi diventati calciatori, degli uomini prima ancora che dei campioni che tutte le settimane vediamo in campo.
Dal capitano della Juventus Chiellini a Politano, da Spinazzola a Iemmello, e giù in tutte le categorie, fino ai ragazzi che si affacciano per la prima volta al grande calcio Questo Davide Lippi lo sa bene, lui che con il suo Reset Group ha creato una struttura nuova ed efficiente, un sistema all’avanguardia per svolgere nel migliore dei modi un lavoro tanto bello quanto impegnativo.
Come hai vissuto questo periodo di lockdown?
“Sono stato abbastanza fortunato, perché ero partito per le classiche vacanze che facciamo a marzo dopo il mercato, ma anziché stare via 15 giorni le ho fatte di due mesi e mezzo a Santo Domingo, dove il virus è arrivato più tardi rispetto all’Italia. Ma dal 15 marzo anche lì hanno bloccato i voli in entrata e in uscita, quindi siamo rimasti là. Fortunatamente dove stavo non c’è stato alcun caso ed è come aver passato due mesi di vacanza, sempre con molta attenzione verso le notizie che arrivavano dall’Italia e con tanta apprensione per i miei familiari a casa e per le attività che ho, come tutti gli imprenditori”.
È stato giusto far riprendere il campionato?
“Assolutamente sì, è giusto iniziare a convivere con questo virus che chissà per quanto tempo non sarà debellato finchè non ci sarà un vaccino. Io ho vissuto con molto entusiasmo questa ripartenza, non volendo farmi assalire dallo sconforto e dai sentimenti negativi, ma rispondendo con energia e positività. Il calcio doveva ripartire con le dovute precauzioni. In generale non solo il calcio, ma tutto il mondo deve ripartire, quindi i ristoranti, l’economia, il commercio, lo sport, chiaramente con il rispetto per questo virus che tanto ci ha fatto male. Ma abbiamo l’obbligo di rialzarci in piedi e di ricominciare prima a camminare e poi a correre”.
Come cambierà il lavoro di agente di calciatori?
“A mio modo di vedere non cambierà, perché anche se non si potrà andare allo stadio, il lavoro sarà sempre lo stesso. Per come vedo io questo lavoro e per come lo interpretiamo noi qui in Reset Group è già cambiato da un pezzo: stiamo impostando le cose in maniera imprenditoriale cercando di dare un servizio a 360 gradi e costruendo una nuova struttura che si chiama Reset Marketing, l’ufficio stampa interno, la parte legale, quella relativa al calcio e alle procure, per una visione imprenditoriale e non più ‘artigianale’ o personale come è sempre stato fatto. È con questa visione imprenditoriale che 13 anni fa con Carlo Diana abbiamo iniziato a costruire Reset Group. Siamo partiti in due e oggi con orgoglio abbiamo un gruppo di 13 persone che contribuiscono a far crescere questo progetto”.
L’aspetto positivo e quello negativo del tuo lavoro
“Io amo questo lavoro, lo faccio con grande entusiasmo perché mi piace da morire. L’aspetto più bello è quello del campo: vedere, valutare, scegliere, su quali giovani scommettere. Certamente ci sono anche aspetti negativi, come il fatto che questo lavoro ti porta per tanto tempo lontano da casa, perché è un lavoro in cui più stai in giro e meglio è per costruire qualcosa di importante. E poi c’è l’adrenalina del mercato, quello mi fa impazzire, quando inizia il calciomercato mi trasformo, con quella cattiveria professionale per cercare di alzare sempre l’asticella, con l’obiettivo di migliorarsi e mai di accontentarsi”.
Un agente è anche un fratello maggiore per un giocatore?
“Il procuratore di un giocatore deve essere tutto. In una fase iniziale può essere un fratello maggiore, poi diventare un amico, di certo funge un po’ da consigliere e un po’ come sfogatoio. Leggendo la dedica che Chiellini mi ha fatto sul suo libro mi sono commosso, con lui condivido tutta la carriera, siamo sempre stati una cosa sola nei tanti momenti belli e in quelli brutti, un legame come il nostro non potrà mai essere sciolto”.
Quali sono i consigli che i giocatori ti chiedono maggiormente?
“Più che i consigli che mi chiedono sono quelli che io do loro, specialmente ai più giovani che tendono a lamentarsi perché non giocano, giocano poco o l’allenatore non li vede. Il mio consiglio è di prestare grande attenzione alla qualità di ciò che fanno, soprattutto nei primi anni di carriera. Quando un ragazzo si sente poco utilizzato o poco partecipe del progetto io gli dico di non mollare e non arrendersi. Quando si passa di categoria può succedere di avere delle difficoltà, ma devono continuare a lavorare e non farsi prendere dallo sconforto. E’ il motivo per cui quando escono dal settore giovanile io piuttosto gli faccio fare un passo indietro e andare in una categoria dove possano giocare. E’ un aspetto psicologico importante: quando un ragazzo ti chiama e si lamenta non è semplice dargli la motivazione giusta. Con i più grandi si ha a che fare con professionisti di grande spessore, si parla di calcio e si cerca di star loro vicino anche nella vita e nei problemi della quotidianità. Bisogna essere ottimi ascoltatori e cercare di capire le persone, facendo attenzione all’aspetto comportamentale con i più giovani. Noi in Reset cerchiamo giocatori con valori morali importanti, come dico sempre ogni agente ha il giocatore che si merita”.
L’aneddoto più interessante capitato durante una trattativa
“Nelle trattative ne succedono di tutti i colori. Posso raccontare quello di Chiellini: io ero giovane, e lui partì da Livorno per andare a firmare per la Roma, e poi firmò per la Juventus! Fa parte del nostro lavoro, ma è quell’adrenalina che mi piace, smontare una trattativa che non esiste per chiuderne un’altra. Stai quattro, cinque mesi all’anno pensando alla migliore opportunità parlando tutto il giorno e tutti i giorni con i dirigenti delle squadre, e quando suona la sirena di fine mercato c’è un crollo della tensione che dura 20 giorni, in cui vado via e stacco il telefono. Ma dopo tre giorni sono già lì a guardare le partite perché il mio lavoro mi piace troppo”.