Paola Jacobbi è giornalista e critico cinematografico. Penna d’eccellenza nel panorama editoriale italiano, racconta con uno stile molto personale i protagonisti del mondo del cinema, ma anche i grandi personaggi della moda, dello spettacolo e dell’industria. Questa volta, che è lei ad essere intervistata, ci apre le porte della sua vita in lockdown, parlando del suo lavoro e di come i giornalisti debbano cogliere l’occasione per tornare a dar lustro a questa professione. Un’occasione anche per l’Italia e per il mondo del cinema per sistemare situazioni già da tempo in crisi.
Come stai vivendo la tua vita in questa quarantena che dura da più di cinquanta giorni?
Io lavoravo già da casa da qualche mese perché a fine ottobre sono uscita dall’azienda in cui lavoravo da 16 anni. Ora sono freelance e scrivo per GRAZIA, VENERDI di Repubblica, MARIE CLAIRE e HARPER’S BAZAAR. A lavorare in casa sono abituata, chi scrive lo fa spesso, non è un problema, almeno non lo è mai stato per me. La mattina faccio ginnastica con dei video che si trovano online, organizzo un po’ la casa, pianifico i pasti per me e mio marito e poi sono al computer dalle 9 alle 13. Riprendo alle 15, dopo pranzo e una dose di informazione tv, telefonate ad amici/familiari per sapere come stanno: ho più di un amico che ha avuto il virus o che ha parenti malati. Mia mamma sta bene ma è a casa sua da sola. Mia cognata e mia nipote vivono in Spagna, ogni giorno io e mio marito ci teniamo in contatto un po’ con tutti. Nel pomeriggio vado avanti a lavorare fino a quando è necessario. Poi si cena, si guarda un film o qualche serie tv e a nanna presto, a meno di non dover finire di lavorare per qualche pezzo in consegna. Un vita un po’ monastica, ma non mi dispiace. Sono di natura un tipo disciplinato e abitudinario. Certo: ci manca tutto il resto della vita sociale: gli amici, le uscite, il cinema, le mostre, i nuovi ristoranti da provare e, come per tutte le donne, il parrucchiere! A me poi manca moltissimo un’abitudine del weekend in città: andare al parco il sabato e la domenica mattina con un’amica carissima con cui facciamo una lunga camminata e altrettanto lunga chiacchierata. Adesso ci sentiamo al telefono ma non è la stessa cosa.
Credi che questa crisi abbia in qualche modo rivalutato il ruolo dei giornali e dell’informazione?
Non so se lo abbia rivalutato però penso sia stato un bene che le edicole siano rimaste aperte. Bisognerà vedere poi, a lunga distanza, i risultati delle vendite di questo periodo per capire se è servito a riaffezionare il pubblico alla carta stampata.
Pensi che anche i giornalisti si siano riappropriati del loro ruolo?
I giornalisti hanno di fronte a loro un’occasione straordinaria di fare bene il loro lavoro che però non può essere un continuo megafono delle istituzioni o dei partiti. Oggi ci sono due forme di giornalismo che hanno senso: analisi delle notizie vere e debunking delle notizie false. Per fare questo, però, occorrono tempo, cultura e mezzi, tre cose di cui gli editori, negli ultimi anni, hanno pensato di fare a meno, spostando tutto il business dell’editoria su altro: raccolta pubblicitaria, eventi inutili e cose così. La carta potrebbe avere una nuova vita ma solo se diventa un prodotto di altissima qualità. Una rivista di moda rivolta al mondo del lusso io me la immagino come l’opera lirica. Mica è morta, dopo la nascita di radio, cinema, televisione e internet. Ma è per pochi e costa di più. Per tutti le altre testate? Informazione poco costosa, ma pur sempre a pagamento, online.
Condividi le decisioni del nostro Governo per affrontare questa pandemia?
Che dire? Un governo armata Brancaleone alle prese con un nemico di cui si sa poco e niente, ha fatto, magari in buona fede, tanti errori, scontando anche le politiche sbagliate del passato: i tagli alla Sanità, la poca attenzione agli anziani, il disprezzo per la ricerca scientifica, la mancanza di tecnologie di ogni tipo, l’eccesso di burocrazia. Un Ministro per l’Istruzione che si scusa in diretta tv perché non riesce a stare dietro a tutte le richieste CARTACEE dei precari della scuola dice tutto dell’arretratezza del Paese!!! Ma adesso è inutile piangere . Bisogna andare avanti e cercare di rimediare il più possibile e aggiornarsi, fare tutto quello che non è stato fatto finora. Il Paese non è sul baratro perché c’è il corona virus, il Paese lo era anche prima.
Il mondo del cinema, che tu conosci bene, come ha reagito all’emergenza? Che danni per il settore?
I danni per il cinema sono enormi, lo sono in tutto il mondo. Ma, anche qui… non è che le sale cinematografiche se la passassero bene anche prima. Questa emergenza ha solo messo in evidenza i segni di una crisi già stellare. I consumi culturali cambiano, il cinema in sala era già diventato una scelta alternativa alle molte offerte di prodotti audiovisivi sulle piattaforme online. Indietro non si torna. Apprezzo chi sta scegliendo di far uscire i film previsti in sala in questo periodo direttamente online, poi quando si potrà tornare al cinema ci torneremo e alterneremo le visioni. Quanto ai festival, trovo ridicolo l’atteggiamento di negazione da parte di Cannes, il cui direttore fino all’ultimo si sta ostinando a dire che in qualche modo il festival si farà. Sono saltate le Olimpiadi, possono saltare anche i festival di cinema che non sono IL CINEMA, sono un ” di cui” e che, negli ultimi anni, si era molto svuotato di significato. Il “format” dei festival per la promozione e la celebrazione del cinema esiste da più di 70 anni (il primo festival della storia è quello di Venezia). Magari è arrivato il momento di ridiscuterli.
Hai cambiato l’uso dei social ?
Non molto. Ho sempre usato i social per condividere il mio lavoro e confrontarmi con gli altri. Continuo a farlo. In mancanza di cose nuove (nuovi film, nuove interviste, nuovi viaggi) segnalo film magari poco visti da recuperare sulla mia rubrica di Harper’s Bazaar e ogni tanto pubblico qualche vecchia intervista che per qualche motivo mi è particolarmente piaciuto fare. Ovvio che adesso siamo tutti condizionati da quello che ci sta succedendo, dal tran tran delle vite in quarantena, dall’angoscia dei dati e dalle sirene delle ambulanze che scandiscono questo silenzio, almeno qui a Milano.
Raccontami il lato umano dei personaggi che hai intervistato in lockdown, come è cambiata la percezione del loro modo di comunicare?
Il lato umano c’è sempre, anche se comunichi a distanza, soprattutto se parli con persone come Giorgio Armani che ho intervistato per l’ultimo numero di Grazia. Se uno ha delle cose da dire, “arrivano” lo stesso. Però un’intervista senza poter stare nella stessa stanza, condividere magari un caffè in un bar o un pranzo al ristorante non sarà mai come un’intervista “vera”. Mi capitava anche “prima”: soffrivo molto all’idea di dover raccontare qualcuno in assenza di un contesto, figuriamoci adesso.
Un messaggio a chi ci legge:
Non ho grandi messaggi, non sono mica Winston Churchill. Ho solo una piccola speranza da persona ottimista: che dopo questo trauma, parole come empatia, etica e solidarietà non siano più solo parole.