Moda

Mar 06 INTERVISTA AD EDOARDO MUSSO – DIMPLES DIGITAL AGENCY: LE RELAZIONI FANNO LA DIFFERENZA, SPECIALMENTE CON IL SORRISO

di Cristiana Schieppati

Abbiamo incontrato Edoardo Musso, manager che arriva dal mondo della pubblicità e del digital content, che ha creato la DIMPLES Digital Agency di cui è Founder e CEO. Dimples significa “fossette”, quelle del sorriso di tutti noi e altresì della pallina da golf, che le permettono di avere stabilità ed una traiettoria precisa verso il target. Obiettivo dell’agenzia è infatti accompagnare il cliente in progetti “taylor made” con tutti i servizi più moderni come la produzione e post produzione video, dal mini clip per uso social allo spot Tv, azioni mirate che creano valore nella community in cui ci si identifica.

Come nasce Dimples e cosa ti ha spinto a creare l’Agenzia? 

Dimples nasce dall’esigenza di tornare al mondo dell’imprenditoria nel quale sono cresciuto, ovviamente mettendo a frutto questi 25 anni di esperienza nella comunicazione. Volevo una realtà che fosse mia, a cui poter dare un mio imprinting deciso ma al contempo permettendo a me e alla mia agenzia di crescere grazie al coinvolgimento di altre professionalità. Anche il nome dell’Agenzia mi rappresenta e allo stesso tempo è un claim di ciò che vorrei offrire ai nostri clienti.

Come si supportano i clienti nella comunicazione e quali sono le nuove strategie che offrono maggiore visibilità ( adv, eventi, podcast…)?

Non esiste una ricetta unica e perfetta. Ogni realtà  ha esigenze diverse. È fondamentale essere capaci di identificare i reali bisogni del cliente, così da avere un approccio coerente per un giusto posizionamento sui diversi mezzi. Un esempio per tutti, le community sono oggi uno straordinario mezzo di comunicazione e di reach ma non adatto a tutti i contesti e a tutte le aziende. Certo la crescita del digital è esponenziale, ma credo che sia sempre vincente essere distintivi e coerenti con i brand che si supportano, utilizzando soprattutto un giusto mix tra old media e new media. Non bisogna appiattirsi nei contenuti e neppure nei “contenitori” che si vanno a proporre. Per Satispay (una realtà che in poco tempo ha saputo attestarsi come “unicorno”, stiamo parlando di una società che potenzialmente raggiunge una valorizzazione di 1 miliardo di euro), per esempio, è stato vincente autopromuoversi con il digital e direttamente attraverso i nuovi clienti. D’altro canto ci sono società che hanno recuperato claim storici (penso ad Alpitour e a Pomì) segnando un trend “nostalgico” che funziona bene, perché il ricordo è il vero obiettivo di ogni campagna Adv. Come dicevo, i clienti vanno supportati con azioni mirate sulla loro realtà e sul singolo progetto.

Come è strutturata l’Agenzia e come scegli i tuoi collaboratori? 

Ho scelto di avere una struttura interna snella, e al momento volutamente tutta al femminile, con alcune figure chiave che mi supportano nel dirigere i progetti. L’Agenzia conta su una fitta rete di collaboratori che ho conosciuto e con cui ho costruito solidi rapporti nelle mie precedenti esperienze, una rete che in questo primo anno di Dimples abbiamo ulteriormente affinato e integrato. Va tenuto conto della fortissima verticalizzazione delle competenze, che richiede non solo aggiornamenti continui ma fa nascere nuove figure professionali. Va poi detto che gli anni di pandemia hanno spinto molti a lasciare le grandi agenzie per diventare liberi professionisti. In questo senso Dimples diventa il capofila di figure professionali di alto livello che vengono aggregate in team che selezioniamo e gestiamo al meglio in base alle esigenze dei clienti e dei diversi progetti.

Milano è ancora la città leader nel settore della comunicazione? A livello internazionale invece? 

Sì, Milano resta la capitale italiana non solo della moda ma anche della comunicazione, sia per la concentrazione delle agenzie e dei centri media più importanti sia per la tipologia di clienti che sono basati principalmente nel capoluogo lombardo. Io non dimenticherei, però, Roma non solo in quanto capitale e centro della politica, ma altresì perché è il punto di riferimento per alcune importanti multinazionali e agenzie nel nostro paese. A livello internazionale, New York (con un commercial da 30” ancora oggi quotato 7 milioni di euro durante il Super Bowl, la città resta senza dubbio un punto di riferimento), Londra, Berlino e Barcellona continuano a essere centri di creatività, innovazione e produzione imprescindibili di questo settore come quello dell’arte, in particolare di quella contemporanea che ha legami stretti con la comunicazione. Certo vanno valutati e studiati in prospettiva anche il mondo mediorientale, penso a Dubai con il recente Expo e a realtà di nuova concezione e di vita avveniristica come il New Murabba Project a Riyadh,  nonché alcuni paesi chiave in Asia come la Cina.

Come si organizza un evento di successo? 

Con passione e attenzione ai dettagli, e certamente un importante network di contatti. “Relations make the difference”: questo è il claim principe di Dimples. Un evento deve creare sinergie tra chi partecipa ed essere attrattivo per chi non può farne parte. Per riuscirci va innanzitutto capito l’obiettivo finale del cliente e scelto il giusto parterre. Come ben sapete voi in Crisalide, l’evento va comunicato non solo prima, ma durante, penso ovviamente all’uso dello streaming, e dopo per ottenere la giusta cassa di risonanza. Oggi lo strumento più performante in questo senso è il video, che permette uno storytelling immediato, coinvolgente, semplice da seguire.

In che modo oggi riuscite a dare supporto ai social? Quanto sono importanti i video? 

Il mondo dei social cambia continuamente, è importante individuare il giusto mezzo per il cliente con un’approfondita analisi preventiva e un monitoraggio attento. Poi è necessario avere quel tocco di creatività che permetta di emergere. Come dicevo, i video sono uno strumento fondamentale: basti pensare a come Instagram si evolve, seguendo trend nati con altri social, con le stories e i reel. I risultati di Sanremo 2023 ci dicono, per esempio, che IG ha visto trionfare i conduttori, TikTok i cantanti: tutto passa ormai attraverso la “visualizzazione”. TikTok è diventato un punto di riferimento per oltre un miliardo di persone. Guardando ancora più lontano, va considerato tutto lo sviluppo delle AI (intelligenze artificiali), e degli strumenti automatici come Chatbot, non solo per monitoraggio e targetizzazione, ma anche per la produzione dei contenuti: questa potrebbe essere una vera sfida, sebbene io sia convinto che l’intuizione creativa umana non possa essere sostituita.

Nella moda quali sono le richieste maggiori che vi vengono fatte quando supportate con la vostra Agenzia un progetto? 

La prima richiesta in questo ambito è la capacità di comprendere il brand: la sua storia, la sua cifra stilistica, i clienti che lo scelgono e che lo sceglieranno e a cui dobbiamo raccontarne l’unicità e l’eccellenza. È importante per le aziende della moda che nello storytelling che le descrive si dia spazio al “saper fare”, al lavoro che dietro le quinte viene svolto per creare un prodotto di pregio (ricerca, innovazione, selezione delle materie prime…). Anche per questo settore è importante avere un approccio omnichannel. L’evento e la stampa rimangono fondamentali, sempre più integrati dal digital che permette messaggi veloci e inclusivi con cui esaltare i valori del brand. Sicuramente testimonial e influencer hanno un grande peso nella comunicazione dei marchi della moda e del beauty. In questo senso dobbiamo saper scegliere con cura chi potrà aiutare il brand a crescere in awareness e chi nelle vendite, con un’attenta selezione degli ambassador più adatti. Trovo poi interessante che le aziende della moda con quelle dell’intrattenimento al momento rappresentino circa la metà delle realtà italiane che hanno investito nel Metaverso, mi sembra indicativo di una volontà precisa di coinvolgere in prima persona il proprio “pubblico”. Ritengo che il successo del Metaverso sarà verosimilmente legato alla sua capacità di esistere in modo equivalente nel mondo virtuale e reale.

Influencer, eventi, social… come pensi che stia evolvendo la comunicazione? Quali saranno le novità? 

Credo che più che di novità si possa parlare di declinazioni. Nel mondo dei talent, per esempio, si sta attestando un trend verso l’idea di brand ambassador, ovvero molte aziende vogliono essere raccontate da chi ne sposa i valori, anche micro-influencer ma di settore. In generale nella comunicazione la tendenza è verso la partecipazione in prima persona, l’identificazione: pensiamo al successo di quelle piattaforme che permettono la rielaborazione dei contenuti digital. C’è un mezzo da non trascurare, la cui importanza e il cui traino non vanno sottovalutati: la televisione, sia quella generalista sia la pay tv. Soprattutto in Italia continua ad esserci un pubblico numeroso che si affida istintivamente per un’abitudine consolidata nel tempo alla tv come primo mezzo d’informazione. Ovviamente, con tutti i cambiamenti che l’hanno resa tematica, più interattiva, tracciabile e geolocalizzabile.

Un personaggio con cui hai lavorato o un aneddoto divertente del tuo lavoro? 

Ricordo bene il mio primo appuntamento di lavoro in Publitalia. Con grande entusiasmo sono andato in un’azienda piemontese di rilevanza nazionale. Già immaginavo una realtà da grande impresa quasi avveniristica, con macchinari e impianti futuristici. Arrivo, faccio un respiro profondo, entro e mi trovo… su un set cinematografico, ma di un regista anni ’50. L’ambientazione era ottocentesca e i personaggi erano da film western. L’AD mi viene incontro indossando un lungo cappotto di pelle e il passo di Clint Eastwood: un vero duello! Poi andò bene e attivai il cliente senza “sparatorie”… Al di là delle battute, era la metà degli anni ’90 e molte realtà aziendali anche importanti sembravano rimaste ferme come immagine e come struttura a decenni prima. Oggi, a volte, succede lo stesso nella comunicazione, ci sono realtà che faticano ad entrare nelle logiche attuali, credo che il compito di un’agenzia sia anche sostenere e guidare il cliente, senza mai forzarlo, in questi percorsi evolutivi.

Se non facessi questo lavoro cosa vorresti fare? 

Mi affascinano da sempre l’architettura e il design, ancora oggi se devo pensare a un lavoro diverso dal mio istintivamente mi sento più affine a questo mondo. Da un lato mi appassiona l’idea di creare e dare forma a qualcosa che prima non c’era, d’altro canto mi piace anche poter partecipare a un progetto che porti a un risultato tangibile. È come quando si crea una campagna di comunicazione: si identifica un obiettivo concreto da raggiungere, si sviluppa una creatività pensata sui media più adatti per il cliente e il progetto specifico e, infine, si dà vita alla campagna.

Mi incuriosisce altresì l’orologeria, mia grande passione fin da ragazzo, sia quella vintage sia quella moderna proprio perché sono agli antipodi. Mi rispecchio nei valori di precisione, bellezza, eleganza che questo mondo ricorda immediatamente. C’è un forte richiamo al design, ovvero nuovamente alla creatività, alla creazione di un oggetto unico, prezioso: il quadrante, con la sua forma e i suoi colori, è infatti l’elemento distintivo di un orologio che porta naturalmente a identificare il gusto di una persona.

Sicuramente, penso si capisca, farei un lavoro che metta insieme le mie passioni: avere questa fortuna permette di raggiungere i migliori risultati con il minimo sforzo.

.
.

SEGUICI SU INSTAGRAM

SEGUICI SU FACEBOOK

Facebook Pagelike Widget
Top