Il mondo dello spettacolo lo ha avuto da sempre sotto gli occhi, eppure all’inizio preferiva guardarlo stando un passo indietro. Anzi, gli voltava proprio le spalle, rapito dal suono dei motori delle macchine, preferendo sporcarsi le mani con carburatori e candele piuttosto che frequentare set cinematografici e palcoscenici. E sì che il DNA era quello giusto, con una mamma, Alba Parietti, e un papà, Franco Oppini, che non potevano non avergli trasmesso i geni dello show. Niente da fare, lui ha voluto correre con le sue gambe e, soprattutto, farlo nella direzione che lui voleva. Un lavoro da dipendente prima, l’attività in proprio dopo, perché la determinazione non gli è mai mancata e le macchine da tempo gli avevano rapito il cuore. Almeno quanto il calcio e la Juventus, l’altra grande passione di Francesco Oppini, che da qualche anno racconta in televisione le partite della sua squadra, esultando per i gol di Ronaldo e per le chiusure in scivolata di Giorgio Chiellini.
Come è stato crescere in una famiglia con madre e padre protagonisti nel mondo dello spettacolo?
“Questa è una cosa che mi chiedono molte volte anche per strada: essendo nato quando loro già facevano questo lavoro, per me è come avere il padre che lavora in panetteria o che fa il vigile urbano. Per me è stata la normalità, non ho mai avuto il bisogno di adattarmi a una situazione particolare. So che è un lavoro particolare, ma alla fine come tanti altri, quindi non è mai stata una cosa strana perché era insita nella mia famiglia quando io sono arrivato”.
Avevi degli “zii” molto speciali, attori e personaggi che altri vedevano solo sullo schermo?
“Sì, basti pensare che il mio padrino è Jerry Cala! Al matrimonio dei miei genitori c’era gente come Pozzetto, Mara Venier, Diego Abatantuono, Barbara D’Urso. Ma per me era la normalità, perché chi circondava i miei genitori faceva parte dello stesso mondo, come musicista, comico, attore, cabarettista, cantanti. In casa mia entravano tutti in continuazione. Dai Righeira al fratello di Michael Jackson che andava a cena con i miei, mio padre che faceva la foto con Woody Allen ai tempi de I Gatti di Vicolo Miracoli. Ma sono tutte cose che capisci dopo”.
Eppure tu non hai mai fatto spettacolo. Ci hai mai pensato o hai mai avuto delle proposte da ragazzo?
“Da bambino ero molto introverso e riservato, a tal punto che quando mi cantavano Tanti auguri mi mettevo a piangere e non volevo. Fino a 10 anni non volevo essere guardato e osservato, volevo stare sempre dietro le quinte, anche al mio compleanno. Questo mi ha fatto sempre restare lontano da palcoscenici, tv, fotografie. Quando i miei genitori mi dicevano che sarebbero venuti a casa a fare un servizio fotografico io stavo malissimo. Di proposte ne ho avute ma le ho sempre rifiutate. Ho giusto fatto La Fattoria nel 2004 ma per ragioni puramente economiche, visto che ero un dipendente BMW da due anni e quella cifra a quell’età era un’opportunità. Senza parlare delle serate, le discoteche gratis, all’epoca era il bello di poter vivere divertendomi”.
Hai scelto la strada dei motori, come mai?
“Perché da piccolo, non avendo fatto l’asilo nido, ero sempre in giro con i miei genitori, in tour o accompagnandoli a fare le loro serate. Ero sempre in macchina, tanto è vero che le mie prime parole sono state i nomi dei modelli che vedevamo in autostrada! Riconoscevo di notte le macchine in lontananza dalla forma di un faro, roba che, fatta adesso, un bambino finirebbe dritto su Youtube. Poi a 10-12 anni ho iniziato a correre seriamente in go kart facendo quattro anni a livello agonistico fino a quando, prima della patente, ho smesso perché mia mamma, dopo essersi spaventata, non voleva che corressi più. Però è sempre stato il mio mondo, quando gli altri uscivano in motorino io giocavo con una macchinina a scoppio che faceva i 120 all’ora, e sapevo anche metterla a posto, ero diventato un meccanico abbastanza bravo. Alla fine degli studi, dopo un anno di Scienze dei Beni Culturali andato anche molto bene, ho parlato con i miei dicendo che volevo iniziare a lavorare nel mondo delle automobili, che prosegue tutt’ora dal 2003”.
Ora di cosa ti occupi?
“Continuo a lavorare nell’auto motive, ho una concessionaria multi marca di medio-alto livello. Questo è il mio primo mestiere, l’altro è quello di andare come ospite a 7 Gold ormai da quattro anni. Una cosa nata per gioco, ma che con il tempo è diventato un impiego a tutti gli effetti. Mi ritengo fortunato, perché sono riuscito a fare di due miei passioni, le auto e il calcio, due miei impieghi. Più di così…”.
Infatti sei diventato un apprezzato opinionista televisivo?
“Mi fa piacere essere apprezzato, ma certamente anche discusso, ma anche se discusso va sempre bene perché vuol dire che una persona fa parlare di sé. Come dicevo è una passione diventata mestiere, ho unito il lato artistico dei miei genitori a una grande passione per il calcio. Una cosa nata per gioco che magari negli anni potrebbe diventare il mio impiego principale, chissà”.
Come hai vissuto l’ultima, travagliata stagione?
“È stata una stagione particolare per tutti, non è stato facile andare avanti parlando di calcio in un momento così difficile. Parlare di calcio dava normalità e speranza a tutti. Stare in uno studio televisivo sentendo che a poca distanza passavano le ambulanze ha rafforzato certi legami personali, oltre al fatto di non ‘menare’ mia madre, visto che per una serie di circostanze pazzesche mi sono ritrovato in lockdown a vivere con lei dopo 10 anni, ed è un’esperienza che non voglio più ripetere e che non auguro a nessun essere umano al mondo!”.
Ti piace l’idea di Pirlo allenatore della tua Juve?
“Più che piacermi mi dà stimoli. Io per vincere lo scudetto ogni anno ci metterei la firma, è una scommessa che fa Agnelli e io di Agnelli mi fido, lui ha portato 17 trofei in 9 anni. E pensare che abbiamo pure perso due finali di Champions, altrimenti sarebbe stato un ciclo forse irripetibile. Ci voleva una ventata di aria fresca, vi volevano stimoli nuovi, qualcuno che entrasse nello spogliatoio con l’autorevolezza di parlare con i vari Ronaldo, Chiellini e Buffon. Sarri non era adatto alla Juventus”.
Sarà la volta buona per la Champions?
“Qui tocchiamo un tasto dolente! Gli anti-juventini ci etichettano come quelli ‘fino al confine’, però io dico sempre che almeno lì noi ci arriviamo, altri non escono neanche dalla propria regione. Sul discorso Champions che dire? Quando perdi cinque finali in 20 anni…Io ricordo quella vinta nel ’96, io c’ero a Roma contro l’Ajax, poi andai anche a cena con la Juventus e toccai la coppa, per un ragazzino di 14 anni puoi immaginare cosa volesse dire! La Champions è una maledizione sportiva che non si spiega, potrebbe proseguire all’infinito così come sbloccarsi da un momento all’altro. Però perderne cinque di fila sono tante! È come corteggiare una bella ragazza che ti chiama e ti cerca. Poi al momento del dunque ti manda a dormire nella stanza degli ospiti!”.