Auto

Mar 22 LA CAPORETTO DELL’AUTOMOBILE

di Carlo Sidoli

Bisogna dire che sulla pericolosità del Coronavirus, sulla sua evoluzione e sul come bisogna curarlo ne abbiamo sentite di tutti i colori, purtroppo anche da parte di parecchi professionisti della sanità col vizietto di apparire sui media, magari insultandosi reciprocamente. Adesso poi si è aggiunta la complicazione delle “varianti al Covid 19” che minacciano di rimettere tutto in discussione, compresa l’efficacia dei vaccini. Su una cosa, fortunatamente, pare che non ci siano dubbi: il modo in cui il morbo si diffonde. Si trasmette via aria da individuo a individuo e, più raramente, per contatto da oggetti a individui. Sicché mantenendo le dovute distanze e praticando una sana igiene personale si cerca di non essere contagiati. La prestigiosa rivista scientifica inglese di ambito medico “Lancet” ha individuato come luoghi la cui frequentazione è rischiosa gli “ambienti chiusi, affollati e con permanenza prolungata, quali le scuole, i mezzi di trasporto pubblici e le abitazioni”. Illustri professori universitari e primari di Centri Ospedalieri di Malattie Infettive sono scesi ancor più nei particolari elencando situazioni, luoghi e attività rischiosi: “Matrimoni, chiese, palestre, ristoranti, mezzi pubblici, cori, bar, mattatoi, carceri, feste, eccetera”. Il Potere esecutivo, cioè il Governo, ha emanato di conseguenza i famosi e reiterati decreti che, in base all’indice di diffusione della malattia, hanno progressivamente limitato le libertà dei cittadini e delle attività sopprimendo alcuni diritti costituzionali, come avviene nelle grandissime calamità e nelle guerre. Non mancano le ridicolaggini, e ne cito una per tutte: in zona rossa si può passeggiare solo nei dintorni di casa ma se si tratta di attività motoria di tipo sportivo (corsa, pattini o ciclismo) ci si può allontanare e addirittura entrare in altro territorio comunale purché non vi si sosti (entrare e uscire senza fermarsi!). Caso mai qualcuno avesse dei dubbi sulla capacità dei legislatori nel complicare le cose semplici. Ma veniamo all’uso dell’automobile, costatando che in nessuno degli elenchi virgolettati di cui sopra compare mai l’auto (trasporto privato) come luogo affollato o diffusore di contagio, né la guida come attività sospettabile di contagio. Eppure un automobilista, in macchina da solo, non contagiante né contagiato, non può andare in giro se non per giustificato motivo tenendosi pronto, non solo verbalmente, ma addirittura con autocertificazione firmata, a denunciare da dove è partito, dove va e perché. Già si possono intravvedere i passi successivi, che saranno messi in atto se il morbo non rallenta. A evitare che l’autocertificazione dichiari il falso, l’automobilista arrivato nel luogo di destinazione, dovrà documentarlo producendo, ad esempio, fotografia di se stesso accanto a monumenti, o ambienti comunque riconoscibili come situati senza dubbio nel posto d’arrivo dichiarato, in un orario compatibile con la dichiarazione. Oppure potrà contattare un pubblico ufficiale che rilascerà un verbale che affermi che il tal giorno alla tal ora il malcapitato era effettivamente in loco. Guai a chi si trova fuori percorso o incerto nel discolparsi. Siamo o non siamo (e qui l’argomento si fa serio) nel Paese dove durante la Prima Guerra Mondiale, cento anni fa, furono fucilati come disertori settecento fanti del proprio esercito (ma pare siano stati un migliaio) perché appartenenti a reparti sbandati che non si sapevano orientare nel marasma generale della ritirata di Caporetto e avevano perso contatto con i comandi superiori? Alcuni poi furono scelti a caso, tanto per far numero, tra quelli che neppure avevano partecipato alla ritirata, né vagavano senza meta, ma erano subentrati a rimpiazzare i caduti. E siamo o non siamo il Paese che ancora oggi onora (dedicandogli vie, viali e piazze) il generale Luigi Cadorna che fu responsabile, in ultima analisi, di tutte quelle inutili crudeltà? Il nostro automobilista, grazie al cielo, se trovato fuori itinerario rischia una multa contestabile, giacché non è un reato sbagliarsi di strada. Si stava peggio quando si stava peggio.

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