Se accettiamo l’idea, sostenuta da molti sportivi, tra cui campioni, ex campioni e autorevoli commentatori, che lo sport senza spettatori (quello di oggi, a causa del Coronavirus) non ha senso e non ha ragione di esistere, allora stiamo tranquilli. A Monza il 6 settembre scorso non è successo nulla e la Ferrari non ha rimediato l’ennesima figuraccia, aggravata dal fatto di essersi verificata in una corsa “di casa”. Spiace per la Scuderia italiana Alpha Tauri, per il pilota francese Pierre Gasly e per i motoristi giapponesi della Honda perché non hanno vinto un bel nulla: si è trattato di una finzione, di un film mandato in rete dove tutti, attori e comparse, hanno recitato la loro parte, compresi gli “stuntman”, vedi Charles Leclerc, più “sbattitore” che “cascatore”. Seguirà l’episodio alternativo, come nella pellicola cinematografica “Sliding Doors” (“porte scorrevoli”), dove magari vincerà un altro sfavorito dai pronostici o il solito Hamilton o addirittura la Ferrari: vale la pena di mettersi in poltrona e vedere in TV la sorpresa che ci hanno riservato i registi, per la gioia di (tele)spettatori e sponsor. E anche il “povero” Novak Djokovic, numero uno del tennis mondiale e favorito degli US Open in corso (senza spettatori e perciò irreale) non è stato squalificato per aver preso a pallate una giudice di linea (per sbadataggine). Domani tornerà in campo e magari ce lo faranno vedere che elimina, senza faticare più di tanto, l’avversario di turno. Se invece, come pare che ragionino la maggior parte degli sportivi (i due terzi, secondo un sondaggio) e tutta la stampa mondiale, si vuole ritenere che anche senza spettatori i risultati hanno un senso e vengono considerati validi per le classifiche e per gli annali dello sport, allora occorre fare qualche riflessione, a partire da quella essenziale: quanto la presenza del pubblico ha influenza sul risultato? Ovviamente dipende dallo sport in questione, giacché, forse, nel nuoto è meno importante o evidente che nel calcio, nel pugilato o nel tennis, tanto per fare degli esempi. Del resto sentiamo e leggiamo molto spesso l’espressione “giocare in casa” a significare che se ci sono i “suppoters” del luogo, numerosi e rumorosi, sarà difficile che vincano gli avversari, i quali giocano “in trasferta”.
60 anni fa Livio Berruti vinse la gara olimpica dei 200 metri piani e probabilmente gli sarebbe riuscito ovunque nel mondo, ma il fatto di correre a Roma con una folla prima incoraggiante e poi delirante lo ha certamente aiutato, almeno per quanto riguarda il record mondiale stabilito in batteria e poi eguagliato nella finale. Dunque gli spettatori contano molto e senza il Coronavirus, che obbliga a casa gli appassionati, qualche esito sarebbe certamente cambiato. Come rimediare per far credere a giocatori e atleti di essere sostenuti da una folla partecipe durante le loro esibizioni? Mettendo finti spettatori pigiati sugli spalti e magari diffondendo con altoparlanti le urla che solitamente sottolineano le fasi più concitate. Nell’ambito del calcio, a Taiwan, in Germania (Borussia Moenchengladbach) e anche in Bielorussia (Dinamo Brest) l’esperimento delle sagome “spettatrici” è già stato realizzato, addirittura con la variante tedesca che se pagate 19 Euro (immagino a richiamo del Covid 19), da devolvere in beneficienza, il finto spettatore ha sul volto la foto della vostra faccia con l’espressione che più vi aggrada. Qualcuno in Corea ha voluto esagerare e sugli spalti, debitamente distanziate e con la mascherina, ci ha piazzato delle bambole gonfiabili munite di cartelli reclamizzanti i “sex shop” da cui provengono, rimediando una bella multa e probabilmente la squalifica della squadra e dello stadio. Dalla realtà falsa alla realtà virtuale il passo è breve e ci vuole ben poco perché allo spettatore che guarda le gare in TV vengano fatti vedere stadi pieni, con persone (non distanziate né igienicamente protette) urlanti, come ai bei tempi. Il match è vero mentre tutto il resto è finzione, ma l’appassionato tifoso in poltrona rimane coinvolto, come accade talora nelle proiezioni cinematografiche. Del resto la cosa più importante e redditizia sono i diritti televisivi e i proventi delle immancabili pubblicità.