Non è raro che un’automobile sia definita “simpatica”. Però, era molto più facile che lo si sentisse dire nel secolo scorso, quando i modelli erano meno vincolati, dal punto di vista estetico, alle regole dell’aerodinamica e quindi ogni costruttore lasciava che il progetto tenesse conto anche della fantasia dei “designer”. La simpatia era una qualità forse non decisiva, ma comunque influente nei criteri d’acquisto. Capitava che il papà che voleva regalare alla figlia neopatentata la prima automobile, scegliesse proprio quella che a lei piaceva perché “simpatica”. C’erano vetture cui si riconosceva questa dote anche da parte di chi non aveva l’automobile o non la poteva guidare (motivi d’età o di convenienza) o, a ragion veduta, si era orientato ad acquistare un modello diverso. Un esempio per tutte: la “Due Cavalli” della Citroen, protagonista di tante avventure tragicomiche anche sullo schermo (vedi i film di Louis De Funès, gendarme irascibile alle prese con suorine guidatrici scatenate sulle stradine della Costa Azzurra). Di sicuro c’era qualcuno che la detestava e qualcun altro cui era indifferente, ma la grande maggioranza, ancora oggi, la guarda con ammirazione, come si guarda una creatura giovane e sbarazzina; a parte la sua dotazione sorprendente di tecnica e di funzionalità che ben conoscono i meglio informati. Chi ce l’ha, non ha certo voglia di liberarsene e nelle zone rurali della Francia è ancora possibile incontrarla in azione. Di questi tempi, talora confondendola con la simpatia, si sente parlare di “empatia” e persino di “automobili empatiche”. Per esemplificare la differenza dei termini vediamo come ci si può porre davanti a due immagini, quali possono essere una gigantografia di Paperino e un’opera del Caravaggio. È evidente che il sentimento che tutti proviamo è “simpatia” per il personaggio di Walt Disney e “empatia” per un capolavoro di Michelangelo Merisi. Ciò perché quest’ultimo (oltre a tante altre considerazioni) fa risuonare dentro di noi delle corde emotive che neppure sapevamo di avere e stabilisce un contatto a livello comunicativo. L’incontro con Caravaggio dunque ci arricchisce dandoci l’impressione che egli ci conosca interpretando i nostri sentimenti meglio di quanto noi stessi sapremmo fare. Logico dunque che l’empatia dovrebbe essere il corredo fondamentale degli insegnanti, dei sacerdoti, dei giudici e dei medici, nelle cui professioni è fondamentale capire le esigenze e i sentimenti di coloro con cui si rapportano (senza tuttavia farsi coinvolgere, altrimenti sarebbe “amore”, o anche “odio”). Allora, come può un automobilista avere una relazione empatica con una vettura, nel senso di allacciare un rapporto di conoscenza reciproca? Può un’automobile capire così profondamente le motivazioni dell’uomo, guadagnarne la fiducia e influire su di lui allo scopo di migliorare la qualità del rapporto tra di loro e con l’ambiente esterno? Pare di sì, almeno secondo le premesse e le promesse di alcuni costruttori. Cito testualmente dalla comunicazione dell’Audi sull’empatia automobilistica: “Il veicolo è in grado di adattarsi agli stati d’animo e alle condizioni psicofisiche dei passeggeri….”. Naturalmente qui entra in ballo l’intelligenza artificiale; l’automobile come entità in grado di assecondare autonomamente le esigenze dell’uomo. Accostandomi al parere del filosofo Umberto Galimberti (che peraltro nega che l’empatia si possa insegnare o apprendere, ritenendola una qualità innata) direi che sono un corredo empatico il navigatore satellitare e l’ABS, che hanno funzioni di indirizzare il comportamento del pilota o di impedirne gli errori. Oggi si parla di “Algoretica” cioè della necessità di evitare che i nostri comportamenti siano determinati da un’intelligenza artificiale che stabilisce per noi cosa è bene e cosa è giusto in base a una quantità enorme di dati immagazzinati ed elaborati. L’algoretica studia la possibilità di introdurre nel computer un “senso di incertezza” che lo costringa in ultima analisi a rivolgersi all’uomo, rimettendolo al centro delle decisioni. La macchina è qualcosa, l’uomo è qualcuno.