Il concetto di libero arbitrio, inteso come la capacità di scegliere liberamente tra diverse opzioni è al centro di numerosi dibattiti filosofici, religiosi e culturali. Tuttavia, quando lo applichiamo al giornalismo, in particolare a quello di moda, e alla creazione stilistica, ci troviamo spesso a confrontarci con dinamiche che mettono in discussione questa libertà. Il giornalismo, in quanto strumento di racconto e critica della realtà, e la moda, in quanto espressione creativa e culturale, sono due ambiti che dovrebbero celebrare la diversità e l’individualità, ma che spesso rischiano di cadere nell’omologazione.
Il giornalismo è per definizione, una pratica che richiede libertà di pensiero e capacità di raccontare i fatti senza condizionamenti esterni. Tuttavia, in un mondo sempre più influenzato dagli algoritmi, dalle logiche di mercato e dalle pressioni dei grandi gruppi editoriali, il libero arbitrio del giornalista rischia di essere sacrificato sull’altare della convenienza economica o politica. Ed è così che si passa da commenti mielosi e lusinghieri sulle sfilate che raccontano sempre la solita storia, a critiche feroci e dettagliate sul cappello indossato da Melania Trump in occasione dell’insediamento alla Casa Bianca. Ho letto veramente di tutto, dalle analisi in chiave politica alla scelta di imporre la sua presenza e ci sono stati milioni di meme sui social. Gli esperti di moda si sono poi focalizzati su Hervè Pierre, stylist e couturier che ha creato il look della first lady , maestro del linguaggio visivo già noto per aver disegnato abiti per altre first lady come Michelle Obama e Hillary Clinton. Un look può essere un potente strumento di comunicazione e la sua lettura diventa un messaggio politico, culturale e sociale. Il commento sul look di Melania è stato una lettura di simbolismi e strategie fuori da un contesto puramente creativo, cosa che avviene durante la fashion week dove il look di una sfilata è un atto creativo puro, pensato per stimolare emozioni e sperimentazioni, senza necessariamente ancorarsi a un messaggio univoco.
Tutto questo ci insegna come un elemento apparentemente semplice possa avere un impatto così forte da influenzare la percezione dell’intero look, lasciano un’impronta duratura nella storia della moda politica. La sfida per molti designer è ancora quella di non essere vittime dell’omologazione che soffoca il loro libero arbitrio. Seguire la propria visione anche a costo di andare controcorrente è un principio che vale sia nella comunicazione che nelle scelte stilistiche, in un’epoca in cui il passato sembra dominare le passerelle la moda si trova davanti ad un dilemma cruciale: quanto spazio lasciare al libero arbitrio e quanto, invece, restare ancorati ad una nostalgia rassicurante? La risposta risiede nel coraggio di abbracciare il futuro, rompendo le catene della nostalgia che spesso bloccano l’innovazione. Oggi il richiamo rassicurante al passato ha il sopravvento, lo abbiamo visto nelle sfilate uomo appena finite, dove la maggior parte dei brand si sono ingabbiati in un’estetica già vissuta. Il signor Armani ha detto alla fine della sfilata Giorgio Armani “Mi piace immaginare gli abiti che entrano nei guardaroba e che vengono interpretati da ciascuno secondo la propria personalità, una visione lontana dalle convenzioni”, una definizione onesta del suo stile che trovo più indipendente di Dolce & Gabbana legato allo stereotipo del divo che sfila sotto una pioggia di flash dei paparazzi.
Il libero arbitrio nella moda deve oggi più che mai tradursi in una ribellione consapevole, a partire dal calendario che insiste nel creare una narrazione di una moda non adatta ai tempi moderni, dove la donna si veste come un uomo, dove non esistono più le stagioni, dove i giovani, i veri sperimentatori del sostenibile, cercano di indicare una nuova strada che non trova per loro uno spazio ufficiale. La moda è la celebrazione del libero arbitrio, nostalgia e tradizione possono essere fonti d’ispirazione ma non devono diventare una catena dove tutto si fossilizza all’insegna dell’artigianalità e del made in Italy. Guardare al futuro è l’unica strada per garantire che la moda rimanga ciò che è sempre stata: un’espressione di libertà.
In molti mi dicono “sei fortunata tu sei libera”, intendendo che il mio mezzo di comunicazione è indipendente e che quindi posso permettermi di dire quello che voglio. Eppure fare il giornalista indipendente è una scelta tutt’altro che semplice soprattutto in termini economici e di credibilità in un panorama mediatico sempre più saturo. Penso a quanto è stato difficile per me i primi anni accedere alle informazioni, a come ho dovuto far crescere la mia credibilità sul campo senza un paracadute di una testata riconosciuta che confermi a prescindere la tua autorevolezza. La fiducia dei lettori è stato il mio unico vero capitale, quello che passo dopo passo ha dato voce alla mia voce. Io oltre a fare la giornalista mi sento imprenditrice, esperta di tecnologia, devo gestire la promozione dei miei contenuti, mantenere la presenza sui social media, costruire una rete di contatti e rispettare le scadenze editoriali. Un carico di lavoro non facile da gestire.
La mia fortuna più grande se vogliamo è oggi quella di poter scegliere con chi lavorare e di aver eliminato tante figure negative. Ho fatto pace con i PR isterici, con i colleghi invidiosi e con i direttori marketing che non hanno mai budget. Ma soprattutto ho fatto pace con me stessa ed ho aperto gli occhi su chi lavora con la mia stessa lunghezza d’onda. Per questo quando Francesca Zocchi mi ha invitato al lunch da Andrea Aprea per l’inaugurazione della settimana della moda sono andata con il sorriso sulla faccia perchè ero certa che avrei incontrato tutte persone simpatiche. Prima di tutto Paolo Stella, sempre alle prese con un cambio arredamento di casa per il suo @Suonarestella, che insieme a Ildo Damiano ( il Fiorello della moda), abbiamo detto che ci fa venire le carie ai denti a furia di tutto quell’amore e quella dolcezza che ci racconta con il suo Jean-Georges d’Orazio. Spero non scelgano di sposarsi come i designer Jordan Bowen e Luca Marchetto del brand Jordanluca che hanno concluso la sfilata con un matrimonio sorpresa che ha ottenuto anche una nota della Camera Nazionale della Moda con un virgolettato del Presidente Capasa che diceva così : “è stato un emozionante momento di celebrazione dell’amore che ha visto Jordan e Luca scegliere Milano e la fashion week per celebrare insieme alla community della moda la loro unione”. Io se mai dovessi convolare a nozze mi terrei lontana il più possibile dalla Fashion Week… che poi troverei qualcuno che si lamenta del sitting o del colore della bomboniera. Come la povera Francesca Viberti che si è trovata a dover cambiare i cuscini in regalo alle giornaliste alla sfilata di Pierre-Louis Mascia “…Perchè quel colore non sta bene sul mio divano…” .
Mi chiedevo se anche da Paul & Shark, che ha mandato una scatola con una forma di pane tradizionale come invito alla presentazione della collezione ispirata a Deauville, infatti è stata ricreata una Boulangerie francese, qualcuno abbia chiamato Alessandra Sarni ed Elena Salzani per chiedere se potevano inviare magari anche una baguette…si sa nei momenti di crisi il pane diventa una metafora potente, capace di rappresentare non solo la scarsità materiale ma anche le disuguaglianze, le ingiustizie e le tensioni che attraversano la società.
Comunque la cosa più divertente è stato andare in bagno al Teatro/Armani con Paola Pollo e girare un video di saluti per Gian Luigi Paracchini con tanto di “ci manchi”. A proposito di bagni mi chiedevo ora che Trump ha eliminato il gender se in Condè Nast torneranno i bagni divisi per uomini e donne … se qualcuno può darmi informazioni, grazie.