La Storia sarà pure “maestra di vita” ma cosa può insegnare a chi non vuole andare a scuola? Del resto, la maggior parte degli storici sa interpretare benissimo il passato, ma raramente ne trae lezioni per il futuro. Ricordo l’attore britannico David Niven che, arruolato volontario, si sentì dire da Winston Churchill, nei momenti peggiori della Seconda Guerra Mondiale, che gli alleati avrebbero comunque vinto. “Perché ha questa certezza?” Gli domandò. “Perché, giovanotto, io studio la Storia”, fu la risposta. A mio parere, il primo ministro di Sua Maestà aveva certamente delle buone ragioni, ma soprattutto gli è andata bene, perché non credo che alle corti di Hitler e di Mussolini mancassero gli “studiosi di storia” che la pensavano in maniera opposta. Comunque, per avere successo, bisogna innanzitutto stabilire delle priorità. Il “duce” pensò che fosse una priorità entrare in guerra a fianco dei tedeschi e così legò il destino dell’Italia a quello della Germania e quello suo personale a quello dell’altro caporale ex combattente reduce della Grande Guerra, non certo immaginando che qualche pallottola li avrebbe accomunati anche nel tipo di morte, a pochi giorni uno dall’altro (fine aprile 1945). Recentemente sono venuti al pettine i nodi di due delle numerose priorità che i nostri politici hanno bellamente trascurato o sottovalutato: la struttura sanitaria e la dipendenza energetica. Manca un terremoto, di quelli non rari nel nostro Paese, per trovarci nella “tempesta perfetta”, intesa come coincidenza di eventi catastrofici. Stendo un velo pietoso sulla riduzione delle spese per la Sanità operata dagli ultimi governi e sulla gestione tragicomica della pandemia da Coronavirus. Porto l’attenzione invece sulla “cortomiranza” della gestione energetica prendendo spunto dal fatto che (assieme alla Germania) il governo italiano si muove con estrema prudenza nella crisi in atto tra Russia e Ucraina, limitandosi ad affermazioni generiche come “faremo la nostra parte”. Il che non pare voglia dire che, in caso di conflitto, manderemo le nostre truppe a rimpinguare quelle della NATO, e neppure che ce ne staremo fuori a fare da pacieri: in altri termini non vuole dire niente. Ovviamente, la nostra “coda di paglia” sta nel fatto che siamo grandi importatori di gas dalla Russia tramite condotti che passano per l’Ucraina, due nazioni che possono manovrare i rubinetti delle forniture. Quando un Paese, come l’Italia, che contava di risolvere le sue esigenze energetiche tramite gli impianti nucleari, si trovò nelle condizioni di dover rinunciare alle centrali, fu giocoforza ricorrere alle importazioni e precisamente fare arrivare energia dall’estero sotto forma di metano, petrolio ed elettricità. Soprattutto metano dall’est europeo, che poi, in Italia, fa funzionare le caldaie del riscaldamento, i forni e i termogeneratori elettrici. Anche se il metano “brucia meglio” del carbone e del petrolio, tanto che qualcuno vuole farlo passare per energia “pulita”, dobbiamo renderci conto che esso inquina e che il suo utilizzo, per quanto attualmente utile e inevitabile, va progressivamente ridotto a favore delle fonti rinnovabili. L’Italia fa ricorso alle energie “verdi” per oltre un terzo del suo fabbisogno attingendo soprattutto all’idroelettrico, all’anemometrico e al fotovoltaico; purtroppo, essendo un Paese privo di altre risorse, l’energia rinnovabile è anche l’unica di produzione nazionale e tutto il resto lo dobbiamo importare. Ora si prospetta la possibilità di aumentare le importazioni di energia elettrica tramite l’”interconnettore elettrico”, un cavo sottomarino che parte da Israele, passa per Cipro e Grecia si dirama verso l’Egitto e poi si dirigerà verso l’Europa. È un sistema che permette di evitare gli inconvenienti dei metanodotti (ingombranti, costosi e vulnerabili) e che non esporta inquinamento giacché l’energia elettrica viene prodotta in loco dal Paese esportatore. Peraltro, provenendo dal “soleggiato” Medio Oriente, molta di questa energia può essere di origine fotovoltaica.
naturalmente “anemometrico” sta per “eolico”