Le conferenze stampa internazionali via Web si moltiplicano. Uiga consiglia di organizzare sempre la traduzione simultanea in italiano e di dare ai giornalisti la possibilità di porre domande in italiano. E ne spiega le ragioni
“Siamo italiani!”, “Siamo italiani!”. Esplode così, in italiano, la gioia del velista Checco Bruni nel momento in cui Luna Rossa batte la barca Ineos timonata da sir Ben Asley, che vale la sfida finale nella Coppa America di vela. Grida a squarciagola in italiano, in un’epoca nella quale i politici per dire quarantena usano la parola lockdown, per dire lavoro a casa sfoggiano smart working e alcuni si piccano di pronunciare in maniera sbagliata recovery fund.
Sì, siamo italiani e viviamo in una società non ancora organizzata per insegnare l’inglese ai nostri bimbi fin dall’asilo come succede in Norvegia o in Finlandia. Molti italiani, che hanno l’età negli anni anta, a scuola hanno studiato lingue differenti dall’inglese. Chi scelse il francese, la lingua della diplomazia e dello sport fino a una ventina di anni fa. Chi ha puntato sul tedesco, sul russo, sul giapponese, a seconda delle curiosità, delle simpatie, degli interessi culturali. Il risultato è che una fetta della popolazione non parla e non capisce l’inglese e, per fare un’altra citazione agli uomini che ci governano, proprio alcuni politici lo dimostrano.
Questa premessa per dire che anche tra i giornalisti del mondo dell’automobile alcuni non conoscono l’inglese e altri, che lo sanno a un livello scolastico, non se la sentono in momenti ufficiali di porre domande in inglese.
Un nodo che viene al pettine ora, dopo che dal marzo 2020 il mondo è cambiato. A un anno dall’inizio della pandemia i lanci di nuovi modelli automobilistici, i restyling, le presentazioni di nuove tecnologie affollano il mondo del web. Si moltiplicano, infatti, gli incontri in diretta via etere, in streaming e su altri canali di visione. Alcuni, destinati ai giornalisti italiani, avvengono ovviamente usando la lingua italiana. Altri lanciati da piattaforme internazionali usano l’inglese al quale abbinano di solito la lingua del paese d’origine del brand.
In queste presentazioni, chi non conosce bene l’inglese è tagliato fuori, a meno che la casa organizzatrice della manifestazione non abbia programmato una traduzione simultanea. Solo in questo modo si possono capire durante la diretta gli approfondimenti, le suggestioni, le interpretazioni che solo la lingua parlata sa assicurare. Di più. Quando si giunge alla sessione delle domande e delle risposte, poter mandare una domanda usando la posta del collegamento da tradurre agli interlocutori diventa semplice e può servire a trovare una risposta alle proprie curiosità, che in molti casi sono la colonna portante che differenzia tanti articoli sul medesimo argomento.
E’ altresì vero che pochi minuti dopo la fine della conferenza gli uffici stampa inviano i comunicati in italiano. Chi fa il nostro mestiere, tuttavia, sa quanto una sfumatura, il tono in cui si presenta una tecnologia, l’enfasi destinata a una novità sia rilevante per mettere in sequenza di importanza le informazioni, secondo uno stile personale che poi formerà l’articolo.
Ecco perché Uiga, l’Unione dei Giornalisti dell’Automobile, esorta tutte le case automobilistiche a offrire il servizio di traduzione simultanea durante le conferenze stampa internazionali, organizzandola da remoto nel caso in cui la casa madre non l’avesse prevista.
Per dovere di cronaca si obietta che è un argomento debole sostenere che ormai il mondo parla inglese, perché per esempio lo spagnolo o il cinese sono lingue altrettanto se non di più diffuse. Né vale come ragionamento per sostenere che debbano essere tolte di mezzo le altre grandi lingue, men che mai la lingua madre. Non si tratta, ovviamente, di una specie di nazionalismo linguistico, ma della tutela di una biodiversità linguistica: nel caso dell’Italia dell’identità della lingua di Dante. E’ vero, indubbiamente, che gli italiani dovrebbero conoscere l’inglese, per essere in grado di usarlo nelle sedi opportune. Curiosamente anche al parlamento europeo, dove, nonostante non ci sia più la Gran Bretagna, si parla e si scrive in inglese.
Proprio l’Uiga, in altri tempi, aveva promosso dei corsi d’inglese, sponsorizzati da alcuni marchi automobilistici, iniziative meritorie. Questa preziosa consuetudine si è però persa con il passare degli anni e chissà che non si presenti l’occasione per ripeterla.