Scrivere in tempi di Coronavirus non è facile, ancora di più quando si deve constatare che l’industria dell’automobile italiana è finita. Chi paga 5,5 miliardi di euro compera, trasferendo la sede della società fuori dai nostri confini, non stabilisce né una fusione né una condivisione. Devo rendere onore a chi, pur avendo il suo capitale in società straniere, lotta per conservare l’identità storica della sua azienda.
Penso a Pininfarina, hanno creato una leggenda, un vortice di desideri che portava anche gli americani in Italia, attraversavano l’Atlantico, già negli anni 60, per acquistare un’auto che indicavano solo come Pininfarina, non aveva importanza se la meccanica derivava da una Ferrari, da una Fiat, da una Peugeot, da una Lancia o da un’Alfa Romeo. Da designer, oggi, sollecitati da una coscienza sociale, per affrontare il futuro, si trasforma in costruttore di una astrale berlinetta elettrica, chiamata Battista, in onore dell’uomo che ha fondato 90 anni fa, l’azienda. Verrà costruita a Torino, in soli 150 esemplari, con prestazioni che faranno girare la testa anche ai campioni di Formula 1, dimostrando che c’è sempre una nuova vita che lascia alle spalle qualsiasi crisi.
Penso anche ad altre case italiane – Lamborghini, Italdesign – che hanno conservato le loro sedi in Italia, pur essendo passate sotto altre bandiere. Penso a tutti i costruttori stranieri che hanno, con orgoglio, una filiale in Italia, incrementano il lavoro, scegliendo parti di componenti dai nostri artigiani, inimitabili ed esclusivi. In questi giorni circolano hashtag che invitano a tenere duro, a fare squadra, solo così si vince. Credo in loro perché porteranno avanti un solo messaggio #litalianonsiferma , così come i valori di una storia dell’automobile, leggendaria, invidiata in tutto il mondo.