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Mar 21 LUCA DE MEO: LETTERA ALL’EUROPA

Dal 6 al 9 giugno, i cittadini dell’Unione Europea eleggeranno il loro Parlamento per i prossimi cinque anni e a Bruxelles si insedierà una nuova Commissione. Si tratta di un momento molto importante nella vita democratica del continente. Attraverso le sue decisioni e i suoi regolamenti, l’Europa influenza l’economia, ed anche la nostra vita quotidiana. Le sue scelte hanno un grande impatto su molti settori di attività, tra cui l’industria automobilistica, di cui sono un rappresentante. E sono i membri del Parlamento europeo che discuteranno e approveranno le risoluzioni più importanti dei prossimi anni.

Ci tengo a chiarire che sono un europeista convinto e ho ricoperto ruoli di responsabilità in diversi Paesi europei, in Germania, Belgio, Spagna, Francia e Italia. Credo fermamente nel futuro dell’industria automobilistica europea, impegnata a fondo nella transizione energetica.

Un impegno imponente (con investimenti per 250 miliardi di euro), che richiede la creazione di un quadro di riferimento chiaro e stabile.
In vista dei dibattiti che alimenteranno la campagna elettorale, ritengo opportuno far sentire la mia voce, non per fare politica, ma per dare un contributo alle scelte sulla politica giusta. Quella che permetterà all’industria europea di affrontare tutte le sfide tecnologiche e geopolitiche del momento. Per raggiungere questo obiettivo, credo negli sforzi congiunti e nelle partnership tra il settore pubblico e privato. Abbiamo già visto con Airbus ciò che l’Europa è in grado di fare. Intensificando le iniziative di cooperazione, metteremo la nostra industria sulla strada del rinnovamento.

LA DIAGNOSI

Pilastro dell’economia europea, l’industria automobilistica sta affrontando l’offensiva di veicoli elettrici provenienti dalla Cina.

L’industria automobilistica occupa 13 milioni di persone in Europa, ovvero il 7% dei lavoratori dipendenti e l’8% degli addetti alla produzione. Queste cifre sono proporzionali al peso economico del settore, che rappresenta l’8% del PIL europeo. È un’industria che esporta più di quanto importa, generando un saldo commerciale positivo tra l’Europa e il resto del mondo di 102 miliardi di euro (1). Questo dato equivale all’incirca al deficit commerciale della Francia nel 2023 (105 miliardi di euro). È un’industria caratterizzata da forte innovazione e investimenti. Il suo budget per la ricerca e lo sviluppo (R&S) ammonta a 59 miliardi di euro (pari al 17% della spesa totale per R&S, se si include il settore pubblico, e al 26% della spesa R&S dell’industria). I suoi investimenti rappresentano 1/3 del totale degli investimenti in Europa. Senza l’industria automobilistica, l’Europa rimarrebbe indietro nella corsa all’innovazione: la percentuale del PIL destinata alla R&S scenderebbe sotto il 2% e il divario con gli Stati Uniti (3,4% nel 2021) diventerebbe abissale. Nella vita quotidiana, l’automobile prevale su tutti gli altri mezzi di trasporto (80% dei passeggeri e delle merci trasportate per chilometro). Secondo gli studi, questa tendenza rimarrà stabile fino al 2040. Al tempo stesso, l’industria automobilistica rappresenta un’importante fonte di entrate per gli stati: 392 miliardi di euro (più del 20% del gettito fiscale dell’Unione Europea).

Ciononostante, stiamo assistendo a crescenti segnali di indebolimento che, non intervenendo, potrebbero essere motivo di reale preoccupazione. In primo luogo, il baricentro del mercato automobilistico mondiale si è spostato in Asia: il 51,6% delle automobili nuove viene venduto in questa parte del mondo. Si tratta del doppio di quelle vendute nel Nord e Sud America insieme (23,7%) e in Europa (19,5%) (2).

I modelli elettrificati (veicoli elettrici e ibridi plug-in) stanno aprendo la strada, e rappresentano il 14% delle vendite globali (3). La Cina è in rapida ascesa nel segmento dei veicoli 100% elettrici. Sostenuta dall’enorme mercato interno (8,5 milioni di veicoli elettrici venduti nel 2023, secondo la China Passenger Car Association, pari al 60% delle vendite mondiali totali), ha già conquistato una quota di mercato di quasi il 4% in Europa nel 2022. Nel 2023, il 35% circa dei veicoli elettrici esportati nel mondo è di provenienza cinese. Come logica conseguenza, le importazioni europee dalla Cina sono quintuplicate rispetto al 2017. Ciò ha contribuito a un forte aumento del deficit commerciale tra Europa e Cina: è raddoppiato tra il 2020 e il 2022, avvicinandosi ai 400 miliardi di euro! Le marche che hanno esportato di più nella prima metà del 2023 sono MG e BYD. A queste si aggiunge Tesla, che trasporta in Europa le Model Y prodotte nello stabilimento di Shanghai.

Il passaggio ai veicoli elettrici, una sfida enorme che trasforma profondamente l’industria

Per circa 140 anni, la catena del valore della produzione automobilistica è rimasta invariata: ci volevano 4-5 anni per sviluppare un modello e 7-8 anni per produrlo e venderlo.
Le rivoluzioni in atto stanno facendo emergere almeno quattro nuove catene del valore: veicoli elettrici, software, mobilità (inclusi servizi finanziari ed energetici) ed economia circolare. Il risultato è un raddoppiamento del potenziale perimetro di business: un’opportunità per l’industria stimata in 200 miliardi di dollari nell’area geografica coperta da Renault.

I costruttori automobilistici dovranno acquisire competenze in questi nuovi ambiti, ciascuno dei quali ha le proprie regole e il proprio potenziale commerciale. Il nuovo mondo dell’automotive richiede, di conseguenza, un approccio orizzontale, ecosistemico.

Gli operatori europei del settore sono sotto pressione. Nella battaglia per lo sviluppo sostenibile, stanno affrontando contemporaneamente sei sfide.

6 sfide simultanee

– Decarbonizzazione. Devono azzerare le emissioni dei veicoli in Europa entro il 2035. Nessun altro settore sta affrontando un’ambizione di questa portata. Gli investimenti richiesti sono ingenti: 252 miliardi di euro sono stati stanziati tra il 2022 e il 2024 dai costruttori automobilistici europei (4).

– Rivoluzione digitale. Sebbene questa sia un’industria basata sull’hardware, il software assumerà un ruolo crescente. Se nel 2022 il suo valore rappresentava il 20% del costo di un’auto, si prevede che questo valore raddoppierà fino a raggiungere il 40% entro il 2030. Il mercato del software per la mobilità dovrebbe triplicare entro il 2030, superando i 100 miliardi di dollari.

– Regolamenti. Ogni anno vengono introdotti da 8 a 10 nuovi regolamenti. Alle auto viene chiesto di essere più sofisticate e più efficienti in termini di consumi, ma al tempo stesso di diventare meno costose. I requisiti ambientali e sociali comportano una serie di test e controlli da superare e nuovi standard da rispettare. Ciò ha già avuto un effetto del tutto controproducente: il peso delle autovetture è aumentato in media del 60%. Dagli anni Novanta, questa politica ha oggettivamente favorito i modelli premium e penalizzato i modelli dal mercato più ampio. Per adattarsi a queste esigenze, i costruttori non solo hanno delocalizzato la produzione (40% dei posti di lavoro sono stati persi in Francia e una tendenza simile è riscontrabile in Italia), ma hanno anche aumentato i prezzi dei loro veicoli (+50%) (5). Di conseguenza, l’età del parco veicoli sta invecchiando pericolosamente, passando da 7 a 12 anni (6). Il bilancio complessivo in termini di CO2 è negativo: le emissioni dei furgoni sono quelle che sono aumentate più rapidamente (+45% dal 1990) (7) .

– Volatilità tecnologica. Le nuove tecnologie comportano costi elevati. La creazione di una “gigafactory” costa da 1 a 3 miliardi di euro, ma può risultare obsoleta pochi anni dopo, se non prima ancora di essere inaugurata. La tecnologia delle batterie, infatti, è tutt’altro che stabile: le innovazioni si susseguono a ritmo serrato.

– Volatilità dei prezzi. Il prezzo delle materie prime critiche (CRM) è soggetto a forti oscillazioni. Ad esempio, in due anni il prezzo del litio è aumentato di dodici volte e poi si è dimezzato! E c’è una ragione: a differenza del petrolio, i cui prezzi sono governati dall’OPEC, non esiste un’organizzazione che gestisca questi mercati. Non sorprende che queste materie rappresentino oggi una parte significativa del costo di un’auto. Il prezzo del solo litio in una batteria media è equivalente a quello di un motore a combustione.

– Formazione del personale. 25 milioni di posti di lavoro nell’industria sono coinvolti dalle due transizioni, quella digitale e quella ambientale. Si rende quindi necessario formare rapidamente moltissimi lavoratori. Ciò riguarda l’industria automobilistica, ma anche tutti i settori che vi ruotano attorno. Per non parlare dell’intera catena del valore (industria mineraria, economia circolare). In Francia, l’industria interna dei veicoli endotermici rappresenta 50.000 posti di lavoro (stima 2019). Tutte queste persone dovranno essere formate per acquisire nuove competenze. Al tempo stesso, verranno creati 8.000 nuovi posti di lavoro nel settore dei veicoli elettrici e 4.000 nel settore del software. Su scala europea, la transizione interesserà 500.000 posti di lavoro nel settore dei veicoli endotermici e creerà 120.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre, 800.000 lavoratori dovranno essere formati da qui al 2025 per soddisfare le necessità di manodopera per la produzione di batterie.

Una concorrenza sbilanciata: incentivi all’industria negli Stati Uniti, pianificazione strategica in Cina, e nuovi regolamenti in Europa

In un’economia aperta, la competitività si misura in base ai vantaggi comparati dei vari soggetti. Una cosa è chiara: produrre auto in Europa è più costoso. Un’auto del segmento C “made in China” ha un costo di produzione inferiore di 6.000-7.000 euro (circa il 25% del prezzo totale) rispetto a un modello europeo equivalente.

In termini di finanziamenti all’industria, sembra che la Cina stia distribuendo sussidi sempre maggiori ai propri costruttori a un ritmo crescente (secondo un rapporto del Polytechnique, una cifra compresa tra 110 e 160 miliardi di euro fino al 2022). Grazie all’Inflation Reduction Act (IRA), approvato nell’agosto 2022, gli Stati Uniti hanno iniettato 387 miliardi di euro nella loro economia, principalmente sotto forma di crediti d’imposta. Nell’ambito di questo provvedimento, sono stati concessi 40 miliardi di dollari in crediti d’imposta per lo sviluppo di tecnologie produttive verdi (8). Un programma di questo tipo non esiste in Europa.In termini di costi operativi, i costi energetici sono due volte inferiori in Cina e tre volte inferiori negli Stati Uniti rispetto all’Europa. E il costo del lavoro in Europa è superiore del 40% rispetto alla Cina.

Nella battaglia globale sui veicoli elettrici, tre strategie radicalmente differenti si fronteggiano:

1) La Cina supporta l’industria (9)

– Già dal 2012 il governo di Pechino ha deciso di concentrarsi sui veicoli elettrici. L’obiettivo dichiarato è che la sua industria automobilistica domini il mercato mondiale.
– A tale scopo, ha introdotto una serie di normative per incoraggiare i produttori a migliorare le prestazioni dei loro modelli e per incrementare le vendite. Consentendo l’ingresso sul mercato a tutte le aziende che lo desiderano, favorisce anche una competizione darwiniana tra di esse. Quelle che sopravvivono saranno inevitabilmente molto potenti.

– Emerge che la Cina ha investito, inoltre, in modo massiccio in tutti i settori coinvolti nel ciclo di vita dell’auto elettrica, dall’estrazione dei metalli rari al riciclo delle batterie.
– Si ritiene che abbia incoraggiato la definizione di standard comuni, al fine di assicurare la sovranità (agevolazioni agli operatori locali per gli acquisti) e la competitività (minori costi iniziali poiché i costruttori utilizzano risorse e tecnologie già sviluppate).

– Avrebbe elaborato una serie di argomentazioni per incoraggiare i costruttori stranieri a stipulare accordi di partnership con gli operatori locali (ad esempio, joint venture, trasferimenti tecnologici).
– Infine, il governo, le banche e le istituzioni finanziarie si assumerebbero generosamente il rischio delle start-up (il 93% perde denaro).

Questa strategia sta dando i suoi frutti: la Cina ha ora un grande vantaggio competitivo nell’intera catena del valore dei veicoli elettrici. Controlla il 75% della capacità produttiva mondiale di batterie, l’80-90% della raffinazione delle materie e il 50% delle miniere di metalli rari.

2) Gli Stati Uniti incentivano

Lo scopo del programma IRA, con i suoi 387 miliardi di euro di fondi, è quello di incoraggiare gli investimenti. Si è concentrato in particolar modo sui veicoli elettrici: solo i modelli assemblati negli Stati Uniti e con componenti locali possono beneficiare di incentivi all’acquisto, e questo stimola le vendite.

– Grazie all’IRA, gli Stati Uniti stanno rafforzando la propria base industriale: la capacità delle gigafactory di batterie che saranno costruite entro il 2030 è passata da 700 GWh nel luglio 2002 a 1,2 TWh nel luglio 2023.
– Inoltre, il costo di questi stabilimenti è sensibilmente diminuito. Prima dell’IRA, un GWh richiedeva un investimento di 90 milioni di dollari. Questa cifra è ora scesa a 60 milioni di dollari (10). Un dato simile a quello della Cina, mentre il costo in Europa rimane molto più elevato: 80 milioni di dollari per GWh (11).

3) L’Europa regolamenta

L’Europa sta elaborando un’intera nuova serie di norme e regolamenti. In media, da qui al 2030 le varie direzioni della Commissione europea introdurranno da otto a dieci nuovi regolamenti all’anno (12). E questo senza un organismo che approvi il calendario di pubblicazione. Si tratta di una situazione estremamente svantaggiosa per le imprese, che spesso sono costrette a adattarsi al ritmo serrato di applicazione di queste nuove normative, mobilitando ingenti risorse ingegneristiche (fino al 25% di un dipartimento di R&S) per studiarne l’applicazione.

L’obiettivo di questo onere normativo è quello di fare dell’Europa un campione di tutela dell’ambiente, nella speranza che questo sia un fattore di progresso sociale a livello globale. Il problema è che gli altri blocchi commerciali tardano a seguire l’esempio, e ciò sta penalizzando la competitività delle imprese europee.

Di conseguenza, l’Europa si trova di fronte a un’equazione complicata. Dovrebbe proteggere il proprio mercato, ma dipende dalla Cina per le forniture di litio, nichel e cobalto e da Taiwan per i semiconduttori. Ha anche interesse imparare dai costruttori cinesi, che hanno una generazione di in tema di prestazioni e costi dei veicoli elettrici (autonomia, tempi di ricarica, rete di ricarica, ecc.), software e velocità di sviluppo di nuovi modelli (1,5-2 anni contro 3-5 anni). Le relazioni con la Cina dovranno essere gestite al meglio. Chiudere completamente la porta sarebbe la peggiore risposta possibile.

RACCOMANDAZIONI
PER UN’INDUSTRIA EUROPEA COMPETITIVA E DECARBONIZZATA

L’industria automobilistica europea si è mobilitata. Ma ha urgentemente bisogno che l’Unione Europea crei le condizioni necessarie per la nascita di un vero e proprio ecosistema per la mobilità a basse emissioni di carbonio.
Ecco proposte concrete per agire.

1) Definire una strategia industriale per l’Europa, in cui l’industria automobilistica sia uno dei pilastri principali. Il settore automotive rappresenta più di 1/3 dell’industria totale europea. L’Europa ha bisogno di un quadro regolatorio con una base stabile ma in evoluzione nei contenuti, seguendo l’esempio del modello cinese. È essenziale creare condizioni favorevoli alla nascita di nuove aziende europee sul modello Airbus, con competenze in tecnologie chiave.

2) Mettere attorno a un tavolo tutte le parti interessate per sviluppare questa strategia: scienziati, industrie, associazioni, sindacati e ONG.

3) Porre fine all’attuale sistema basato sull’introduzione continua di nuove norme,

la fissazione di scadenze e la minaccia di multe in caso di non applicazione. Per i nuovi “tipi” (nuovi modelli, nuove tecnologie), è necessario rivedere l’elenco degli standard definiti per i prossimi 6 anni. Raccomandiamo la creazione di un organismo centrale che monitori e valuti tutti i regolamenti, il loro impatto diretto e indiretto e la loro interazione con altre normative, prima che vengano applicati all’industria.

4) Adottare un approccio orizzontale, non solo verticale. Il prodotto finale (l’auto) e le sue tecnologie non possono essere gli unici aspetti presi in considerazione. Per accelerare la diffusione dei veicoli elettrici, bisogna garantire, ad esempio, che l’energia utilizzata sia a emissioni zero e sia disponibile in quantità sufficienti.

5) Ricreare le capacità di approvvigionamento di materie prime e componenti elettronici, sviluppare le nostre competenze nel software e stabilire una sovranità europea nel cloud. Potrebbe essere creata, ad esempio, una piattaforma di acquisto europea per le materie prime critiche (come è stato fatto per il gas o per i vaccini anti-covid). Anche la gestione delle scorte per i vari operatori potrebbe essere messa in comune.

6) Con la Cina che cerca di dominare il mondo e gli Stati Uniti che proteggono il loro territorio, l’Europa deve inventare un modello ibrido. Ciò significa cominciare con un approccio difensivo, per consentire un buon avvio, prima di partire alla conquista di mercati mondiali.

7) L’industria automobilistica non sta rimettendo in discussione il “Green Deal”

o la necessità di una mobilità a basse emissioni di carbonio. Lo ha dimostrato investendo 252 miliardi di euro in questa transizione. Ma chiede che vengano riesaminate le condizioni di attuazione di questa strategia globale.

Come si può fare? Proponiamo diverse misure per progredire in questa direzione:

Adottare un principio di neutralità tecnologica e scientifica; in termini concreti, ciò significa evitare di dettare scelte “tecnologiche” alle industrie. Significa fissare obiettivi per l’industria, ma non come raggiungerli. Questo è ciò che l’Europa era abituata a fare, ma purtroppo questo principio è stato abbandonato per la transizione dell’industria automobilistica. La soluzione degli e-fuels, ad esempio, è molto promettente, e dovrebbe essere ulteriormente esplorata. La nostra proposta è quella di misurare l’impatto di un’auto lungo l’intero ciclo di vita, dall’assemblaggio al fine vita fino al riciclo, e non solo il consumo energetico durante l’uso. Questa sarebbe una sfida per i nostri ingegneri e aumenterebbe le nostre possibilità di successo di fronte alla Cina e agli Stati Uniti. Inventeremmo una strada europea.

Coinvolgere le 200 città più grandi d’Europa nella strategia di decarbonizzazione dell’industria automobilistica. Ciò porterebbe a vantaggi più rapidi e tangibili per i cittadini. Le città hanno la possibilità, ad esempio, di intervenire sulla gestione del traffico, sulla fiscalità locale e sull’accesso dei veicoli alle aree urbane.

Potrebbero consentire l’accesso gratuito solo alle auto e ai furgoni elettrici o a idrogeno dalle piccole dimensioni o alle auto con le omologazioni più recenti. Da qui l’importanza di collaborare con i sindaci. Se tutte le città adottassero contemporaneamente le stesse misure, si avrebbe automaticamente un effetto scala virtuoso per il settore, e il mercato crescerebbe.

Introdurre una sorta di “Champions League” industriale attraverso un sistema di bonus-malus, che premi i migliori e penalizzi chi non sta al gioco, in tutti i settori. È essenziale che il sistema non sia solo punitivo.

Creare zone economiche “green” sul modello delle zone economiche speciali cinesi. Queste aree riceverebbero maggiori sovvenzioni e investimenti industriali; tasse e oneri sociali sarebbero ridotti per dieci anni; e i guadagni sui capitali investiti dal sistema finanziario sarebbero esenti da imposte. A condizioni da definire, i dividendi degli investimenti effettuati in una zona verde potrebbero essere esenti da imposte. Renault ha dato l’esempio con la creazione di ElectriCity nel giugno 2021 nel nord della Francia. Si tratta di un ecosistema dedicato ai veicoli elettrici intorno agli stabilimenti di Douai, Maubeuge e Ruitz. Per raggiungere i propri obiettivi di competitività, Renault ha raggruppato stabilimenti e fornitori in un’area geografica definita che costituisce un’area di attrazione.

Assegnare all’industria automobilistica una quota di energia verde e a basso costo. Ciò la aiuterebbe a produrre le batterie, gestire l’infrastruttura cloud e promuovere la mobilità sostenibile per la clientela. L’elettrificazione senza la decarbonizzazione dell’energia elettrica è impossibile. In altre parole, la transizione ecologica richiede una massiccia elettrificazione dell’intera economia. L’elefante nella stanza è la greenflation, un aumento strutturale del prezzo di prodotti virtuosi. I consumatori non sono disposti ad accettarlo. Questo è il motivo per cui i prezzi dell’energia elettrica dovrebbero essere disaccoppiati da quelli del gas. Questo li manterrebbe stabili a lungo termine a un livello ragionevole. È cruciale per la nostra competitività a medio e lungo termine. In caso contrario, il successo dell’auto elettrica sarà compromesso. Il numero di veicoli elettrici in circolazione nei 27 Paesi dell’Unione Europea (40 milioni di unità entro il 2030) richiederà 250 TWh di energia elettrica. Ciò rappresenterà poco meno del 10% del consumo totale di energia elettrica del continente.

Accelerare lo sviluppo di veicoli autonomi intelligenti e iperconnessi. Questa è la seconda strategica catena del valore da implementare. Per fare un paragone con i telefoni cellulari, è come passare da un vecchio Nokia 6510 a un nuovo IPhone. Con i software-defined vehicles, l’esperienza del consumatore cambierà completamente, così come cambierà il rapporto dell’auto con l’ambiente circostante. È fondamentale garantire la sovranità europea nella tecnologia dei semiconduttori, nelle infrastrutture cloud e negli standard di cybersecurity. In questo settore è necessario attuare una politica di sostegno e stimolo all’innovazione digitale. Ciò comporta agevolazioni fiscali e piattaforme collaborative che “alimenteranno” le aziende e le start-up nei settori dell’IA, della cybersecurity e di altre tecnologie digitali. I veicoli intelligenti connessi sviluppati in questo modo offriranno tre vantaggi: flussi di traffico più agevoli, minor consumo di energia e meno morti sulle strade… Grazie all’introduzione di standard comuni, ispirati all’esempio della Cina, si stima che il 70% del contenuto tecnico delle auto – la parte che il consumatore non vede – potrebbe essere condiviso tra i produttori.

Coinvolgere il pubblico nella transizione ecologica tornando alle basi dell’industria automobilistica: lo sviluppo di massa di veicoli di piccole dimensioni per l’utilizzo urbano e le consegne dell’ultimo miglio. In vent’anni, il prezzo medio delle city car è passato da 10.000 a 25.000 euro. E il budget annuale dei consumatori per la mobilità (carburante, manutenzione, assicurazione e tasse) è passato da 3.500 euro a 10.000 euro. Poiché nello stesso periodo il salario medio è aumentato solo del 37%, la classe media sta abbandonando l’automobile. In Europa, le vendite sono scese da 13 milioni di unità nel 2019 a 9,5 milioni nel 2023. Circolare ogni giorno con un veicolo elettrico che pesa 2,5 tonnellate è chiaramente un errore ambientale. Il problema è che le normative europee (sulla sicurezza, sulle emissioni, ecc.) hanno un impatto negativo sulla redditività del segmento delle utilitarie, e le vendite sono diminuite del 40% in vent’anni. La soluzione è ispirarsi al Giappone e ai suoi piccoli veicoli urbani, o “kei cars”. Dalla fabbrica al fine vita, l’impatto ambientale di un’auto piccola è inferiore del 75%. Può essere venduta alla metà del prezzo di un modello di fascia media. Potremmo rapidamente invertire la tendenza attuale con una serie di misure poco costose: leasing sociale, parcheggi gratuiti, tariffe di ricarica agevolate, tassi di interesse più bassi sui prestiti, incentivi per i giovani acquirenti, ecc.

Creare un new deal tra settore pubblico e privato per raggiungere rapidamente la massa critica a livello europeo. La transizione ecologica è uno sport di squadra: sotto la pressione dei mercati finanziari, i produttori europei sono spesso costretti a concentrarsi sui profitti a breve termine, piuttosto che fare gli investimenti necessari a lungo termine, senza alcuna garanzia di ritorno sull’investimento. La Cina ha risolto il problema impegnando tutte le forze, comprese quelle delle istituzioni finanziarie, verso lo stesso obiettivo. Gli Stati Uniti sono maestri nel

creare ecosistemi (come la Silicon Valley), che consentono di finanziare tutti i progetti. In Europa, l’approccio è frammentato tra i diversi Paesi e i diversi settori industriali e abbiamo le leggi antitrust più severe al mondo. La conseguenza è che siamo indietro di una generazione in diverse tecnologie e settori economici. E le dimensioni delle aziende europee sono inferiori a quelle dei giganti asiatici e americani. La nostra raccomandazione è, quindi, quella di lanciare 10 grandi progetti europei in aree strategiche che riuniscano tutti i soggetti pubblici e privati in modo transnazionale e interdisciplinare. Esiste un modello già collaudato: Airbus!

10 progetti per consentire all’Europa di recuperare il ritardo

1) PROMUOVERE AUTO PICCOLE EUROPEE A PREZZI ACCESSIBILI

L’idea: incoraggiare i progetti di cooperazione tra i costruttori per sviluppare e commercializzare auto e furgoni di piccole dimensioni a prezzi accessibili prodotti in Europa. Allo stesso tempo, incoraggiare i consumatori ad acquistare questi veicoli attraverso incentivi e vantaggi come posti auto riservati, parcheggi più economici e punti di ricarica riservati.

Vantaggi e sfide per l’Europa (13): ridurre l’impronta di carbonio dei veicoli urbani, essendo oggi l’impatto di CO2 di un’auto piccola inferiore del 75% rispetto ad un’auto media, dalla produzione al fine vita. Se tutti i parcheggi di Parigi fossero dimensionati per piccole city car, il risparmio di spazio sarebbe pari a 55 stadi di calcio. Queste auto migliorerebbero significativamente la qualità dell’aria nelle città (in una città su quattro la qualità dell’aria è pessima, il 39% delle emissioni è causato dal traffico stradale). Sarebbe un’alternativa perfetta per resistere alla concorrenza internazionale: le auto compatte costano dal 20 al 30% in meno rispetto alle auto medie; potrebbero generare una maggiore crescita per l’Europa (500 milioni di euro di PIL all’anno) e creare oltre 10.000 posti di lavoro nell’industria.

2) RIVOLUZIONARE LE CONSEGNE DELL’ULTIMO MIGLIO

L’idea: definire un quadro di riferimento per la creazione di nuove aziende europee specializzate in soluzioni elettrificate per le consegne urbane. Le case automobilistiche e gli operatori logistici lavorerebbero insieme per identificare le migliori possibilità.

Vantaggi e sfide per l’Europa: questa è una soluzione chiave per ridurre l’impatto di carbonio derivante dal boom dell’e-commerce: le emissioni di CO2 dei piccoli veicoli commerciali sono stimate a 74 milioni di tonnellate in Europa. È previsto che il mercato europeo dei furgoni elettrici da qui al 2030 cresca del 40% all’anno.

3) ACCELERARE IL RINNOVO DEL PARCO VEICOLI

L’idea: creare un sistema europeo per monitorare l’evoluzione del parco veicoli e delle sue emissioni. Una sorta di Piano Marshall europeo per accelerare il rinnovo del parco auto e ridurre in tal modo drasticamente le emissioni di CO2. Un fondo europeo che distribuirebbe le risorse in base alle capacità di ciascun Paese, come per il piano di ripresa post-covid. A livello nazionale, verrebbero introdotti incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici, nuovi o usati. Per essere efficace, tale programma dovrebbe basarsi su un orizzonte temporale di dieci anni.

Vantaggi e sfide per l’Europa: eliminare 1 milione di tonnellate di CO2 entro il 2030. L’obiettivo dell’Europa è di eliminare 310 milioni di tonnellate entro la stessa scadenza. Il ritardo accumulato rispetto a tale obiettivo darebbe valore a questo risultato.

4) SVILUPPARE L’INFRASTRUTTURA DI RICARICA PER VEICOLI

ELETTRICI E LA TECNOLOGIA VEHICLE-TO-GRID (V2G)

L’idea: è ruolo della Commissione europea sviluppare un piano strategico per la rete europea di ricarica dei veicoli elettrici. Un piano generale per facilitare una più rapida creazione di punti di ricarica, implementare un quadro che assegni energia verde e a basso costo alla rete di ricarica, estendere la durata delle concessioni delle infrastrutture di ricarica per attrarre più operatori e fornire maggiore stabilità al sistema complessivo, incoraggiare lo sviluppo della tecnologia Vehicle-to-Grid definendo standard comuni per i progetti futuri.

Vantaggi e sfide per l’Europa: una rete semplificata e ad alta densità per favorire l’utilizzo dei veicoli elettrici. L’Europa deve installare 6,8 milioni di punti di ricarica per raggiungere l’obiettivo del 2030 di ridurre del 55% le emissioni di CO2 delle auto private. Ciò richiederà un drastico cambio di passo, portando i punti di ricarica

installati a settimana dagli attuali 2.000 a 14.000! In totale, saranno necessarie 184 stazioni di ricarica ogni 100 chilometri di strada. Siamo ancora lontani dal raggiungere questo obiettivo: oggi sei Paesi europei non hanno punti di ricarica ogni 100 chilometri e 17 ne hanno meno di 5 (14). L’investimento totale (pubblico e privato) per la creazione di questa rete è stimato a 280 miliardi di euro, inclusa la costruzione di capacità aggiuntive di produzione di energia rinnovabile. In un Paese come il Regno Unito, la tecnologia V2G potrebbe far risparmiare 268 milioni di euro all’anno di consumi elettrici entro il 2030. L’uso diffuso di questa tecnologia consentirebbe di gestire in modo più efficace i picchi di consumo di elettricità, riducendo così l’uso di fonti energetiche spesso più costose e ad alte emissioni.

5) RAGGIUNGERE LA SOVRANITÀ DI APPROVVIGIONAMENTO PER LE MATERIE PRIME CRITICHE

L’idea: creare un’organizzazione a livello europeo preposta a garantire il fabbisogno di materie prime sensibili, negoziando direttamente con i Paesi produttori. Questo approccio dovrebbe applicarsi anche alla trasformazione delle materie (idrometallurgia, riciclo). Sviluppare una diplomazia europea della catena del valore, volta a garantire l’approvvigionamento europeo negoziando con alcuni Paesi.

Vantaggi e sfide per l’Europa: soddisfare le crescenti esigenze dei costruttori automobilistici a condizioni di prezzo più controllate (un’auto elettrica consuma sei volte più materie critiche di un’auto convenzionale). Entro il 2030, solo il 5% del fabbisogno proverrà da fonti europee. La Cina controlla questo settore, con il 90% delle capacità di raffinazione del litio mondiale.

6) AUMENTARE LA COMPETITIVITÀ DELL’EUROPA NEI SEMICONDUTTORI

L’idea: fare un investimento strategico in R&S per consolidare la posizione di leadership europea (ASML) nel virtuale monopolio della tecnologia EUV (litografia ultravioletta estrema). Questa tecnologia consente di produrre microchip più piccoli e più potenti. L’obiettivo è soddisfare le esigenze di tutte le industrie, e in particolare del settore automobilistico. L’Europa dovrebbe utilizzare questo modello per favorire l’emergere di nuovi leader dei semiconduttori, sia rafforzando le aziende esistenti (STMicroelectronics) che creandone di nuove. Le esigenze dell’industria non riguardano solo i semiconduttori più sofisticati, ma anche i semiconduttori tradizionali.

Vantaggi e sfide per l’Europa: le aziende europee di semiconduttori sono in media sette volte più piccole dei loro concorrenti. Lo spettacolare aumento del fabbisogno di semiconduttori nell’industria automobilistica crea una nuova opportunità per loro. A condizione che forniscano prodotti di alta qualità con una durata di vita molto lunga e zero difetti.

7) STANDARDIZZARE IL “SOFTWARE-DEFINED VEHICLE” (SDV)

L’idea: creare le condizioni affinché le case automobilistiche possano progettare dei software-defined vehicle a prezzi ragionevoli, mettendo in comune alcuni sviluppi e definendo degli standard. Come in Cina, i componenti nascosti potrebbero essere condivisi da tutti i costruttori.

Vantaggi e sfide per l’Europa: acquisire competenze in ciò che rappresenterà il 40% del valore di un veicolo entro il 2030. Il mercato globale del software avrà un valore di 100 miliardi di dollari entro il 2030. La cooperazione tra i costruttori europei permetterebbe loro di conquistare la sovranità e la competitività nel campo delle tecnologie di bordo.

8) FAVORIRE L’EMERGERE DI UN CAMPIONE EUROPEO DEL METAVERSO INDUSTRIALE

L’idea: l’Europa ha già un ottimo livello nella produzione manifatturiera, nella R&S e nella logistica. L’obiettivo è ora quello di fare un salto di qualità nel XXI secolo standardizzando il nostro approccio. Come? Creando un campione europeo del metaverso industriale, capace di fornire soluzioni alle sfide della digitalizzazione dei processi industriali (progettazione, produzione, logistica, ecc.). Potrebbero essere avviate iniziative di cooperazione tra i costruttori e gli attori tecnologici con competenze nel cloud, nella realtà aumentata, nell’intelligenza artificiale, nell’Internet of Things e così via. Questo progetto richiede che i governi orientino gli investimenti verso le aziende europee leader del settore, al fine di sviluppare un pool di competenze, creare infrastrutture cloud in Europa e definire standard comuni di cybersecurity.

Vantaggi e sfide per l’Europa: l’Europa investe nella R&S del settore della tecnologia cinque volte meno degli Stati Uniti. Di conseguenza, attira finanziamenti tre volte inferiori rispetto agli Stati Uniti. Mentre gli Stati Uniti e la Cina hanno investito massicciamente in tecnologie per i beni di consumo e per il settore della difesa, l’Europa deve intensificare i suoi sforzi. È importante per la sovranità, la decarbonizzazione (con una riduzione delle emissioni nella catena di approvvigionamento del 30% in dieci anni) e la competitività.

9) UNIFICARE IL RICICLO DELLE BATTERIE

L’idea: mettere in comune la gestione dei rifiuti delle batterie. Questo obiettivo sarà raggiunto sviluppando la cooperazione tra partner industriali al fine di creare esperti di riciclo per ogni tecnologia di batteria. Facilitare lo sviluppo di progetti di riciclo delle batterie. Sviluppare partnership in Europa con chi possiede queste tecnologie, inclusi i cinesi.

Vantaggi e sfide per l’Europa: entro il 2030, la percentuale di veicoli elettrici nelle vendite di automobili passerà dall’8% al 55%. Parallelamente, la percentuale di minerali rari consumati dall’industria automobilistica esploderà: aumenterà di cinque volte per il cobalto, di sette volte per il litio e avremo bisogno di una quantità di nichel 8 volte superiore a quella attuale. Ogni anno 11 milioni di veicoli giungono a fine vita. Riciclandoli, possiamo recuperare abbastanza acciaio per produrre 8 milioni di nuove auto e abbastanza plastica e rame per 5 milioni di nuove auto.

10) VALORIZZARE IL POTENZIALE DELL’IDROGENO

L’idea: adottare la neutralità tecnologica per l’idrogeno, e includere la mobilità leggera nei progetti. Sviluppare un piano generale che identifichi le aree più promettenti e coordini le azioni in tutta Europa. Concentrare gli sforzi nelle aree più rilevanti, correlando idrogenodotti e stazioni di rifornimento (HFS), coordinando la creazione di hub di idrogeno da realizzare in prossimità di fonti energetiche verdi, creando reti di distribuzione dell’idrogeno, avvicinandosi ai potenziali acquirenti.

Vantaggi e sfide per l’Europa: i veicoli a idrogeno possono garantire una maggiore autonomia. L’idrogeno è particolarmente vantaggioso per i mezzi pesanti e gli autobus e, più in generale, per tutti i veicoli che devono percorrere distanze molto lunghe. A parità di prestazioni, la batteria necessaria per un veicolo a idrogeno è più piccola e quindi più leggera. Il nuovo Renault Master elettrico è un esempio: per raggiungere un’autonomia reale di 500 chilometri, un doppio sistema batteria e cella a combustibile a idrogeno (tipo Hyvia) peserebbe la metà (775 kg) di una batteria tradizionale (1.427 kg).

CONCLUSIONI

Le proposte che presentiamo in questo appello sono ambiziose ma concrete. Dimostrano che l’industria automobilistica europea può diventare rapidamente la soluzione alle sfide del continente. Siamo consapevoli che ciò richiede un cambio di paradigma. Il passo successivo deve essere quello di ispirarci alle migliori pratiche di altri paesi. La cooperazione è indispensabile, tra concorrenti e tra settori industriali. Siamo pronti a collaborare con tutte le istituzioni e le parti interessate per portare avanti queste idee. È in gioco la prosperità dell’Europa.

Una risposta a “LUCA DE MEO: LETTERA ALL’EUROPA”

  1. Raffaele d'Argenzio ha detto:

    Sembra un sogno, ma è un progetto che mi auguro fortemente venga attuato. E’ anche un passo importante per un’Europa davvero unita, che possa fronteggiare i due colossi da cui rischiamo di essere scvhiacciati.
    Per me è anche una lotta per salvare la nostra civiltà e di conseguenza la nostra democrazia.

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