Quanto ci piace chiacchierare. Complice il periodo di lockdown, inizialmente, la moda ha provato a esprimesi non solo con immagini, per forza di cose a inizio pandemia difficili da realizzare con lo stuolo di modelle, truccatori, hair stylist, fotografi, stylist e assistenti vari che si portano dietro, e si è affidata alla parola. Scritta, parlata, enunciata, lanciata a fiumi nel corso di dirette Instagram a due e, poi, quattro persone, con webinair e salotti virtuali che hanno riempito un’agenda fashion altrimenti alquanto sguarnita.
Dopo l’indigestione di scatti sembra si ritorni al vocabolario.
La sfilata Prada, con tutto il rispetto parlando, è diventata quasi il compendio alla chiacchierata tra Miuccia Prada, Raf Simons e il loro pubblico di intervistatori al quale ci hanno abituati i due designer da quando disegnano gomito a gomito la griffe. La stessa che ha lanciato una campagna pubblicitaria per la spring/summer in qualche modo rivoluzionaria. Basta andare sul sito della casa di moda, infatti, per partecipare a un questionario composto di tantissime domande a risposta libera e, potenzialmente, anche a lunghezza libera. Le risposte più interessanti faranno parte di un libro. Ma il punto più stimolante è che in tanti si sono presi la briga di partecipare e di dire la loro, dilungandosi ben oltre la classica emoji, che è ormai diventato il comune modo di asserire qualcosa in modo veloce e intuitivo su social e chat.
Un esperimento che ha sottolineato quanto la voglia di parlare sia ancora forte.
Bottega Veneta si è ritirata qualche mese fa dai social, almeno apparentemente, perché il designer Daniel Lee considera poco esclusivi tali mezzi. Per comunicare, però, la casa di moda ha appena deciso di diventare editore di un trimestrale online, che punta su collaborazioni trasversali e importanti e che vuole essere un modo diverso e, forse, più di nicchia per raccontare il proprio mondo.
L’invito alla presentazione virtuale della collezione autunno/inverno di Loewe era un quotidiano di ben 63 pagine al cui interno erano non solo fotografati, ma spiegati a parole, con didascalia nero su bianco, i singoli look. A completare il tutto anche un abstract dell’ultimo libro della scrittrice Daniel Steel.
Sono le parole le protagoniste dei recenti Medusa Power Talks, voluti e lanciati da Donatella Versace: una piattaforma al femminile che ospita interviste registrate e talk live a figure vicine alla casa di moda. Sempre sul tema dell’emancipazione sono centrati i Rendez-vous littéraires rue Cambon organizzati da Chanel e introdotti da Charlotte Casiraghi, ambasciatrice e portavoce della maison. La doppia C ha anche un podcast, 3.55, così come sono nati quello di Dior, di Gucci, di Cartier e di Diane Von Furstenberg.
Una voglia di parlare e di dire la propria che è probabilmente anche il motivo della nascita di Clubhouse, il social solo audio, dove l’unica foto ammessa è quella del profilo, che deve il suo successo anche al fatto che si entri solo su invito e se in possesso di un iPhone. Insomma, puoi parlare, ma solo se fai parte di una certa elite. La stessa cerchia ristretta di chi ha non una it bag qualsiasi, ma quella personalizzata con le proprie iniziali, o conosce il modo per accedere a un locale esclusivo. Che, poi, il più delle volte è una parola (segreta) anch’essa.
Così, il mondo di un brand diventa davvero a tutto tondo, in un periodo in cui la distanze umane pesano e si sentono, così come la mancanza di comunicazione. Le parole sono importanti e l’apparenza da sola non aiuta a emergere, perché in un tempo di riflessione, in cui gli acquisti (e, conseguentemente, le vendite) sono ai minimi storici, alle case di moda viene chiesto sempre più di raccontare ed esprimere i propri valori e non solo accessori e abiti belli con immagini perfette e patinate. Un giornale o un talk sono spazi ben più ampi di una storia o di qualche scatto social e possono mostrare il dietro le quinte: della creazione, della realizzazione, ma soprattutto del pensiero. Rendendolo comune e affascinante. e, magari, condivisibile.