Il campionato è appena finito, eppure la rivoluzione è già iniziata. Mai come quest’anno, infatti, stiamo assistendo a un clamoroso ribaltone sulle panchine di Serie A. A parte Milan e Atalanta che proseguiranno rispettivamente con Pioli e Gasperini, tutte le altre big hanno deciso di cambiare, e uno dopo l’altro stanno andando a posto tutti i tasselli.
La notizia più grande è stata certamente quella dell’addio di Conte dall’Inter neo scudettata, e per il terzo anno consecutivo la squadra campione d’Italia si ripresenterà ai nastri di partenza con un allenatore diverso da quello che l’aveva portata al titolo (nei due anni passati era toccato entrambe le volte alla Juventus, con Sarri al posto di Allegri nel 2019 e Pirlo al posto di Sarri nel 2020). Conte ha sbattuto la porta e se ne è andato, ma la cosa non ha sorpreso più di tanto. Un po’ è nello stile del personaggio, fumantino e poco incline al compromesso, a maggior ragione forte di un successo che all’Inter mancava da 11 anni. Ecco spiegato il motivo per cui mai avrebbe accettato il ridimensionamento proposto (e imposto) dal presidente Zhang. Sette milioni di buonuscita e tanti saluti, anche se forse lo stesso Conte non si sarebbe mai immaginato di restare a piedi. Sì, perché al momento è un disoccupato di gran lusso, avendo rifiutato sia il Real Madrid (che a sua volta ha cambiato allenatore, passando da Zidane al grande ex Carlo Ancelotti) che il Tottenham, anche se la Premier lo attraeva molto. Non altrettanto il progetto degli Spurs, che a questo punto guarderanno altrove.
L’Inter si è così affidata a Simone Inzaghi, che ha mollato sull’altare Lotito proprio quando il rinnovo sembrava a un passo. Quattro milioni all’anno per due anni hanno fatto la differenza, e Inzaghi ha deciso di lasciare l’amata Roma per mettersi in gioco, in un ambiente diverso e lontano da quella “comfort zone” rappresentata dal triangolo vincente creato negli anni con Lotito e Tare. Resta l’obbligo di contenere i costi voluto da Zhang, ma lui, a differenza di Conte, l’ha accettato.
Buon per la Juventus in cerca di immediato riscatto, che ha salutato “il predestinato” Pirlo per affidarsi all’ex Allegri, congedato con troppa fretta da Torino due anni fa dopo aver vinto cinque scudetti consecutivi. Ma lo aveva fatto “senza giocare bene”, come dicevano i critici più accaniti. Peccato che né Sarri (che almeno lo scudetto lo ha vinto) né Pirlo (in Champions in extremis) hanno fatto ciò per cui erano stati chiamati, cosa che ha indotto Agnelli ad alzare il telefono e affidare il comando nuovamente ad Allegri.
Proprio Sarri dopo un anno da spettatore ricomincerà dalla panchina lasciata libera da Inzaghi: Lotito ha deciso di dargli in mano le chiavi della Lazio, pensando già al derby che sarà con José Mourinho, che dall’altra parte della Capitale è chiamato a ridare energia alla Roma.
Un grande ex giallorosso, Spalletti, va a rimpolpare la pattuglia dei grandi ritorni in panchina, sedendosi su quella del Napoli. De Laurentiis ha pagato care le critiche a Gattuso, che dopo aver sfiorato la Champions (persa clamorosamente all’ultima giornata) ha salutato tutti e se ne è andato a Firenze, con Spalletti neo sposo azzurro. Se sarà anche principe non si sa, quel che è certo è che con De Laurentiis ultimamente le lune di miele hanno una durata piuttosto breve.Il Torino si è affidato a Juric, cambieranno proprietari anche le panchine di Sassuolo (favorito Giampaolo), Sampdoria (ultima ipotesi l’ex centrocampista Vieira), Verona (a un passo Di Francesco) e