Ieri, ad Amsterdam, si è chiuso il cerchio che era stato aperto, proprio nella capitale dei Paesi Bassi, nel 2014, quando fu costituita Fiat Chrysler Automobiles, una società indipendente, nata per effettuare alleanze, cooperazioni industriali, proiettata a diventare un grande gruppo. Fca è stata unita nel gennaio 2021 al gruppo francese Psa, da qui è nata Stellantis, un anno intero per arrivare alla formalizzazione del piano industriale battezzato“Dare forward 2030” (verso il 2030), concepito dall’amministratore delegato Carlos Tavares, il capo indiscusso. Ora deve partire quel processo di conciliazione – e mai come in questo momento parola può avere un significato così importante – che porterà a saldare l’unione tra l’industria italiana e quella francese, per proiettarsi il più lontano possibile. Il piano è stato strutturato in tre tappe: tre, sei, nove anni “ in modo che possiamo arrivare ai nostri obbiettivi, controllando sempre la rotta”, ha spiegato Tavares che non avrebbe mai immaginato di presentare il suo progetto in un contesto mondiale che non poteva essere più caotico. Stellantis si deve confrontare con una successione di fatti negativi, passati dall’epidemia, alla drastica rivoluzione elettrica, dalla mancanza di chip, all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Senza contare la fragilità economica in atto in tutti i mercati, specialmente in Europa e, anche se Tavares è capace di tenere la barra dritta, é cosciente che la rotta potrà essere forse modificata. Fortunatamente, a differenza di altri costruttori, Stellantis possiede a Kalouga , a circa 200 chilometri da Mosca , una fabbrica in cui vengono costruiti veicoli commerciali, in partenariato con Mitsubishi, in cui sono stati prodotti, nel 2021, solo 11mila veicoli, un’attività assolutamente marginale che porta profitti non superiori ai 30 milioni, insignificanti di fronte ai 13,4 miliardi di euro di utile netto realizzati lo scorso anno. All’orizzonte del 2030 vuole vendere il 100% dei veicoli elettrici in Europa e il 50% negli Stati Uniti, forte di 75 modelli e di 5milioni di elettriche immatricolate, ogni anno, globalmente. Prevede 200 miliardi di fatturato entro il 2024 e 300 miliardi all’orizzonte del 2030, con margini a due cifre, anche superiori al 12%, per tutto il decennio. 20 miliardi sempre di fatturato devono provenire dalla Cina con i marchi Jeep, Peugeot e Citroen, spera di superare Volkswagen in Europa e conta di sviluppare i servizi di mobilità e quelli bancari, portatori di forti utili. Porterà i suoi 300mila dipendenti ad essere “secondi a nessuno”, abbracciando una nuova mentalità. Contemporaneamente intende proseguire la lotta contro il cambiamento climatico, abbassando le emissioni di carbonio a zero, entro il 2038. Tavares sa di doversi confrontare con nuove realtà industriali che hanno poteri decisionali rapidi “ dobbiamo imparare da loro sull’adozione delle future tecnologie ma noi sappiamo gestire altri problemi grazie alla nostra esperienza, come la gestione della produzione e della logistica. Un viaggio sostenuto dall’innovazione e dall’eccellenza ingegneristica di cui sono dotati tutti i nostri veicoli, dai più economici a quelli di lusso”. Investirà, per il 2025, 30 miliardi di euro per l’elettrificazione dei suoi 14 marchi, il primo suv elettrico della marca Jeep sarà pronto nel 2023 e aumenterà di 10 gigawatt/ora la capacità delle batterie. E a proposito della gigafactory da realizzare a Termoli, Tavares ha precisato che “ per la conclusione dell’accordo ci vorrà ancora qualche settimana, stiamo ancora lavorando con il Governo italiano ma viviamo in un mondo complesso”.