Le storie preziose nascono accompagnate da un mito: quella di Pennisi nasce dalla mitologia del gioiello antico. Nel Secondo dopoguerra, Giovanni Pennisi (1913-1999) arriva da Catania a Milano. Ha la qualifica di «diamanteur» e ha già fatto pratica smontato e rimontato i gioielli antichi che la nobiltà siciliana portava nella bottega orafa di suo zio. A Milano, la città della rinascita industriale italiana, Giovanni Pennisi è «commerciante di diamanti», gestisce la pietra preziosa per eccellenza, ma la passione per i gioielli antichi dei suoi inizi lo spinge ad aprire un negozio, nella porta accanto all’ingresso del Grand Hotel et De Milan, lo storico indirizzo milanese di Giuseppe Verdi. A gestire questo scrigno prezioso pieno prima di tutto di una passione da condividere con possibili acquirenti chiama i figli Guido e Marina. È l’inizio di una storia che si compone di racconti reali e memorie trasformate dal tempo, che è il tipico mélange da cui nascono le mitologie.
È il 1971: Pennisi «negozio di gioielli d’antiquariato e objets de vertu» apre le sue porte e le sue vetrine in via Alessandro Manzoni. 29. Una storia che ha oltrepassato i 50 anni anche con il contributo di due nuovi protagonisti, i figli di Guido e di Marina Pennisi: Gabriele Pennisi ed Emanuele Ferreccio Pennisi. Rappresentano la terza generazione che il destino ha voluto formata da un’aquila a due teste, due cugini nati a pochi mesi di distanza nel 1976. Lunga e preziosa, questa storia, allora, merita una celebrazione. Ma merita anche di essere raccolta e tramandata in un libro, Collezione Pennisi di Alba Cappellieri edito da Skira Editore, ed esibita in un evento a Palazzo Serbelloni, con la regia di Paula Cademartori.
L’evento «Pennisi, 50 anni di gioielli e di oggetti virtuosi» ha coinvolto tutto il mondo Pennisi, quello visibile nel negozio e quello privato.
Innanzitutto, per la prima volta sono esposti i gioielli della «Collezione Privata Pennisi», cioè quella «non in vendita», che contiene riservatezze insospettabili: ci sono rarità eccezionali, tra cui un bracciale del 1928 di Buccellati realizzato per Gabriele d’Annunzio che lo regalò a un’amica con la dedica incisa «In ricordo della fine», e c’è anche un bracciale egiziano che porta inciso su di sé un poema.
Per questa esposizione one day only Cademartori ha allestito un «percorso estetico che scrive un racconto poetico sfruttando il colore burgundy, che è quello delle vetrine Pennisi, a cui si aggiungono vetrinette e supporti di calchi in gesso antropomorfi» dice la designer. Ed è un percorso in cui la maestria orafa può mostrarsi per quella che è, senza «scendere a compromessi con le esigenze commerciali», precisa ancora Cademartori che trasferisce nella regia dell’evento lo stupore di quando si è confrontata con il progetto: «Mi ha colpito la bellezza di una mappatura di gioielli che non esiste più». Da qui nasce un’esposizione che sviluppa la sua armonia in un percorso che si snoda in 15 vetrinette e che attraversa cinque sale del Palazzo partendo dalla Stanza Napoleonica.