Guardiamo quello che sta succedendo in Francia dove le officine di riparazione sono aperte durante il lockdown – con un calo comunque del 30% dell’attività – ma le concessionarie sono chiuse. La vendita di automobili non è stata considerata essenziale, al contrario di quella delle due ruote. Una discriminazione assurda. Il risultato è questo: la raccolta ordini di auto nuove e usate è crollata drasticamente, sino al 90%. Le case costruttrici cercano di invogliare l’uso del digitale che però si ferma alla configurazione del modello ma difficilmente porta alla firma del contratto. Il mercato francese, dunque, dovrebbe perdere, nel 2020, oltre 500mila veicoli rispetto al 2019, un calo del 30%, in parole semplici, un ritorno agli anni 50. E arrivano i primi segnali di fermo di produzione: Psa ha bloccato gli straordinari a Sochaux e Mulhouse, è vero che queste fabbriche assemblano anche per altri paesi ma se le concessionarie sono aperte in Germania, in Inghilterra sono chiuse. L’industria francese rischia una paralisi nelle prossime settimane e non si avverte nessuna intenzione di generare scorte come è avvenuto nella scorsa primavera. Ci chiediamo anche che senso ha aver prolungato, sempre in Francia, i bonus all’acquisto sino al 1 luglio 2021 per poi impedire la vendita. Il blocco porterà, inevitabilmente, a licenziamenti. Renault sta già trattando con i sindacati l’uscita volontaria di 2500 persone. Ecco perché sosteniamo l’apertura dei concessionari in Italia, vitale per conservare l’occupazione. L’auto è considerata il mezzo più sicuro per muoversi e spostarsi, questo è il messaggio che tutti dovrebbero condividere per difendere il salario di chi ci lavora.