Moda

Giu 28 PERFORMANCE

di Cristiana Schieppati

Con il termine performance di solito si intende il contributo, il risultato e la modalità di raggiungimento di quello che viene realizzato da un individuo, un team o una struttura aziendale.

L’artista serba Marina Abramovic è la regina delle performance internazionali, indimenticabile quando ha fatto The Artist Is Present al Moma di New York nel 2010 dove teneva le persone bloccate davanti a lei per otto ore guardandole negli occhi. Qualche giorno fa le è stata assegnata la laurea honoris causa a Torino in occasione della performance art ed ha dichiarato ” Non credo in TikTok o Instagram come forme d’arte, perchè per fare performance devi essere presente, occorre avere buone idee e sono i contenuti a fare la differenza. Gli artisti hanno una grande responsabilità, quella di fare qualcosa per il cambiamento.”

Ho pensato che nella moda la performance di un brand viene oggi spesso giudicata attraverso la realizzazione scenica delle sfilate, dal giudizio positivo o negativo della stampa e dai dati di vendita che ne conseguono. Mentre l’ottima performance dovrebbe bilanciare il cambiamento e l’impatto che quel brand ha avuto sulla società.

Negli ultimi anni ci siamo abituati sempre di più a raccontare di moda e performance economiche dei brand. Un brand di sneakers di lusso Golden Goose che aveva spinto sull’acceleratore per la quotazione in borsa ma, secondo quanto riportato da Carlo Festa su Il Sole24Ore gli azionisti avrebbero deciso di rinviare l’operazione di offerta pubblica iniziale.  Negli ultimi anni solo 151 imprese partecipate da fondi su 28 mila (fonte Corriere Economia) hanno effettuato il loro sbarco sulle piazze finanziarie, questo perchè sembra che i fondi preferiscano gli investitori istituzionali che garantiscono il loro capitale.

Ma di economia io capisco poco, ragiono come una casalinga che deve arrivare a fine mese con quello che ha nel portafoglio e oggi i soldi non bastano mai. In molti dicono che il lusso è finito, che non è più aspirazionale e che i nostri armadi sono pieni, che la gente non ha voglia di spendere. Di sicuro da Parigi la moda uomo e la haute couture hanno dato segnali di grande fatica, e più che cambiamento hanno sposato l’esigenza di visibilità di una capitale che si prepara alle olimpiadi e la grandeur francese ha sfoggiato tutto il suo potenziale. Maria Grazia Chiuri ha celebrato i giochi (dove Dior e LVMH avranno un ruolo importante), con tanti atleti vestiti dalla maison: pepli, maglie metalliche , costumi di paillettes Dior olympique. “Ho studiato il rapporto che esiste tra corpo, abito e performance” ha confidato la designer a Chiara Bottoni di MF Fashion, ma nessun abito che faccia la differenza, era realizzato per la performance olimpica. Place Vendôme era blindata per lo show di Vogue World che ha accostato ogni decennio della moda francese a partire dagli anni 20 a uno specifico sport: ciclismo, ginnastica, tennis, scherma. Protagoniste le maison che hanno sfilato a Parigi. Il finale con Gigi Hadid e Kendall Jenner a cavallo in total look Hermes. Tutto bellissimo, contenuti digitali assicurati, immagini foto. Ma a cosa è servito?

Lo so che certe volte sono un po’ criptica nei miei giri di parole, ma è che ricevo talmente tante informazioni ed il mio cervello è già pienissimo, abbiate pazienza. Prendiamo Taylor Swift; secondo le stime di European Cities Marketing l’Eras Tour che arriverà allo stadio di San Siro il 13 e il 14 luglio a cui parteciperanno 160 mila persone, creerà un forte indotto economico a Milano. La durata media del soggiorno per i visitatori è di circa 2-3 notti. Con il 30-50% dei fan che viaggeranno da fuori città, Milano vedrà tra 48mila e 80mila visitatori alla ricerca di alloggio. Gli hotel e altre strutture ricettive potrebbero generare tra 14,4 e 24 milioni di euro solo dall’ospitalità. L’aumento della domanda permetterà agli alberghi di addebitare tariffe premium, aumentando il loro fatturato del 200-300% rispetto agli standard di periodo. Lo stesso è stato per Londra dove addirittura il principe William con i figli ballava scatenato tra la folla e lei ha postato anche un selfie. Ma perchè lei è cos’ famosa? Perchè ha la capacità di arrivare diretta al cuore e il suo carisma sono all’origine del suo successo: le persone si identificano in lei.

Una volta sentivo questo entusiasmo quando c’era la Fashion Week: albergatori e tassisti gongolavano, i negozi vendevano come non mai, Milano era un tripudio di ospiti internazionali e la curiosità di chi non poteva avere accesso a quel mondo rappresentava una speranza, un sogno a farne parte. Oggi il popolo della moda è fatto principalmente da gente abituata ad avere tutto gratis che sfoggia look regalati o acquistati attraverso svendite a sconti eccezionali. Le redazioni internazionali a Milano mandano pochissimi giornalisti e per pochi giorni anche quando il loro soggiorno viene pagato. Se chiedete in giro i più dicono che noi che lavoriamo in questo settore siamo antipatici, snob e prepotenti. I nomi dei designer sono perlopiù sconosciuti al grande pubblico e a volte nemmeno ti concedono l’intervista preferendo stampa straniera o influencer, anzi a volte non hai nemmeno accesso tu che ci lavori da anni a certe sfilate. Come possiamo essere attratti dalla moda e dai suoi creativi se è lo stesso sistema a respingerci attraverso regole vecchie come il cucco? Come possiamo creare empatia con un brand se chi ci lavora o lo disegna non si apre alla gente? Di un cantante conosciamo prima il nome che il titolo della canzone.

Guardando su IG Simone Guidarelli che racconta con i suoi video meravigliosi l’archivio vintage della stilista Alessia Pellarini THE AP ARCHIVE a Milano zona porta Romana, penso a quanta passione per la moda ci sia in questa designer che ha lavorato per Prada, Chloè, Tommy Hilfiger e Fendi che ha collezionato oltre 3000 pezzi tra abiti e accessori e che oggi li mette a disposizione della gente per farne conoscere il valore e la storia.

Sull’onda del ragionamento, cercando di trovare una strada che mi faccia capire perchè la moda sia stata ridotta a una mera questione di prezzo quando per andare a mangiare bene non si fanno i conti, arriva Michele Ciavarella che ha presentato ieri sera il suo libro “GAME CHANGERS il resto sono vestiti” edito da Politi Seganfreddo Edizioni (Michele guarda che c’ero chiedi a Simone Marchetti ho pure comprato il libro eh!). Apro la prima pagina e trovo una sua citazione ” La moda non è una scienza esatta, riguarda la sensibilità e la creatività di chi la fa, di chi la guarda. E soprattutto di chi la indossa”. Mi si è accesa una luce di speranza, tra mille incroci ho trovato una direzione in cui dobbiamo andare. Sempre Ciavarella raccontando Miuccia Prada scrive ” non era una designer, non aveva studiato moda, non aveva una preparazione tecnica. Però la moda se l’era trovata in casa”, il nonno Mario fornitore di casa Savoia, il suo guardaroba che pare fosse spesso firmato Saint Laurent. Lei voleva cambiare l’ambiente in cui viveva. Occorre umanizzarne i contenuti, far partecipe il consumatore e ingentilire la comunicazione.

Una metafora potrebbe essere il matrimonio di Diletta Leotta con tanto di abito Atelier Emè e fedi Damiani (subito annunciati da un comunicato stampa) e una sposa di cui non conosci il nome e nemmeno il designer dell’abito che però crea in te curiosità, giudizio, ispirazione. C’è la bellezza e poi c’è la magia.

Ne parlavo con Vera Bosisio, finalmente ci siamo trovate per un caffè e dicevamo come l’amore di chi fa questo lavoro venga spesso soffocato da richieste che a volte fanno perdere l’entusiasmo di quello che stai facendo. Ognuno di noi è un patrimonio di contatti, nomi, esperienze, idee che inevitabilmente inserisce in quello che fa, la performance migliore dipende da come riusciamo a convogliare tutto questo in un messaggio che possa incantare che arrivi a destinazione e crei una reazione.

Poi diciamolo anche queste povere ragazze che fanno PR, ufficio stampa, comunicazione, eventi … chi più ne ha più ne metta perchè tanto ora ognuna di loro deve fare tutto, si devono gestire clienti che a volte sono dei veri rompi balle! E diciamolo! Io vorrei avere una persona che per me pianifica tutto, che mi risolve gaffe, problemi, mi trova inviti per me e per la mia famiglia. Ad un certo punto mentre bevevo il caffè con Vera appare Paola Ruffo insieme a Carlotta Brusati e si mettono tutte a pianificare vacanze , locali da vedere, ristoranti da prenotare. Io sono scoppiata a ridere perchè pensavo che sono talmente abituate ad organizzare tutto, che se per caso dici ” mi piacerebbe andare a Capri” eccole che ti ritrovi dopo 5 minuti nella mail un itinerario dettagliato di tutto quello che puoi fare nell’isola.

Ognuno di noi è un changemaker ma, come dice Cristina Lucchini nel suo editoriale d’addio a Vanity Fair “C’è tempo per ogni cosa” ed a volte bisogna guardare a quanto si è fatto e scegliere altre strade, anche quella del tempo per noi stessi. Cristina è una grande professionista, come lei anche Nicoletta Spolini e Paola Bonazzi che lasciano Condè Nast, io l’ho sempre ammirata ancora ai tempi in cui faceva coppia fissa con Franca Sozzani . Bella con quella eleganza naturale, i capelli lunghi e lo stile che trasudava da ogni suo movimento: una mano allungata per presentarsi, un sorriso per tutti, i personaggi famosi che quando la vedevano si illuminavano, quegli abiti d’alta moda taglia 38 che solo lei sapeva indossare con disinvoltura, quegli occhi sempre con un velo di tristezza ma che sorridevano anche. Una volta eravamo in coda per imbarcarci su un volo per Ibiza e lei sembrava appena uscita da uno dei suoi servizi girati ai Caraibi.

Io sostegno che le persone che ottengono una performance efficace sono precedute da una preparazione scrupolosa e dal desiderio di lasciare un segno. Per uno stilista la miglior performance è creare un abito che il consumatore non butterà mai via.

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