“Se c’era Marchionne tutto questo non sarebbe successo”. Oppure: “Se c’era Marchionne ne avrebbe già cacciati parecchi”. E ancora: “Se c’era Marchionne non avrebbe dato lo spazio a quello lì…” e via di questo passo. Quattro anni dopo la scomparsa di Sergio Marchionne la sua figura continua ad aleggiare nei corridoi di Maranello. Perché parte di quelle scelte fatte da lui, sono lì a testimoniare che qualcosa non torna ancora. Certo, Mattia Binotto come successore di Maurizio Arrivabene era stato indicato dallo stesso Marchionne, ma la differenza sostanziale di ieri con oggi è che Marchionne, prima di decidere chi promuovere, aveva deciso di chi rimuovere. I tecnici inglesi, per cominciare, e qualcun altro (leggi Sassi, il motorista) che non aveva mantenuto la promessa di notevoli incrementi di potenza del motore. Il risultato dopo quattro anni è sotto gli occhi di tutti: dai mondiali buttati via nel 2017 e 2018 con errori di gestione e di Vettel, al biennio nero del 2020 e 21 cui segue questa stagione dove la Ferrari è tornata grande protagonista, capace di vincere e fare pole position. Ma soccombere sempre contro i rivali in alcuni momenti in cui manca il capo. Quel Marchionne che sbatte le porte, che picchia i pugni sul tavolo, che prende decisioni, giuste o sbagliate che siano, ma le prendeva. Oggi manca una figura di vertice che intervenga per decidere e coprire la squadra. Perché se le cose andavano male, Marchionne apriva bocca, guardava negli occhi gli interlocutori e poi chiedeva se avessero una idea migliore. Potevi provare a dire la tua, ma la smontava sempre. Aveva i suoi informatori, aveva le sue orecchie. E spesso anche gli occhi. È mancato Marchionne in una gestione Marchionne, dalla Ferrari a FCA, e questo porta allo stato attuale. Dove un pilota come Leclerc sbaglia ma viene quasi perdonato e anzi compreso nell’errore. Se sbagliava Vettel si alzavano gli scudi e gli si apriva la porta per farlo uscire. Mattia Binotto è un bravo tecnico, un ottimo organizzatore, ma gestire una squadra corse come la Ferrari vuol dire gestire una azienda con oltre mille dipendenti. Ovvero passa più tempo a doversi occupare di cose che con le corse non hanno che fare. Era il problema di Maurizio Arrivabene che ci mise un paio d’anni a capire come funzionava il meccanismo e quando lo capì, lo portarono alla porta dalla sera alla mattina… La Ferrari del volemose bene, siamo una grande squadra, essereFerrari, va bene come slogan, poi la pista mette in mostra, in quei pochi istanti di tensione, tutto quello che c’è dietro e che non funziona. Ecco, nella ricorrenza del quarto anno della scomparsa di Marchionne e del suo stile, è stato naturale fare un confronto e scoprire che, forse, il passato era meglio del presente. Leggi Luca di Montezemolo. Un presidente affabile con la stampa, comunicativo, irascibile ma animale da comunicazione all’ennesima potenza. Con una passione e un amore per la Ferrari che la dirigenza attuale non è ancora riuscita a trasmettere, anche se è ben presente e radicata. Con l’amarezza di avere una gran macchina, due piloti giovani e veloci, specialmente Leclerc, ma poi la domenica pomeriggio su quel podio per sette gare su 12 senti l’inno olandese. Perché loro non hanno il carisma di Marchionne, lo stile Ferrari, ma hanno una macchina e un pilota che non perdona. E quando va male, hanno qualcuno che apre bocca attirandosi le ire dei rivali, ma coprendo il lavoro dei propri uomini all’interno. Uno stile Marchionne senza Marchionne. Che a Maranello (e Torino) non ha funzionato.