Di questi giorni, verso la fine della seconda guerra mondiale, iniziò nelle Ardenne (Belgio) l’ultima grande offensiva tedesca sul fronte occidentale, quella ancora in grado di arrestare gli Alleati prima che potessero dilagare e penetrare in Germania. L’esito fu incerto, anche perché le condizioni meteo impedirono agli angloamericani di sfruttare la superiorità aerea. Tra neve, gelo e nebbia gli uomini di Eisenhower restarono “impantanati” per circa un mese, durante il quale accaddero diversi episodi curiosi, legati al caso, o meglio al caos, perché il territorio boscoso e innevato ostacolava i collegamenti tra i reparti e tra i comandi. Ad aumentare la confusione negli Alleati ci furono anche sparatorie e scontri tra uomini con la stessa divisa e a bordo delle stesse jeep statunitensi: si era saputo che circolavano tedeschi travestiti da americani. L’idea era stata di Hitler in persona, il quale convocò Otto Skorzeny, austriaco anche lui e “liberatore di Mussolini” (partecipò all’impresa al Gran Sasso e fu abile ad assumersene la paternità), lo nominò SS Obersturmbannführer (comandante capo di battaglione SS) e lo mise a capo della Panzerbrigade 150 da impiegare nelle Ardenne. Tra gli incarichi c’era quello di radunare quanti più uomini che sapessero l’inglese, vestirli con le divise dei prigionieri yankee, metterli a bordo delle jeep e dei carri catturati al nemico e infiltrarli tra le linee degli Alleati per azioni di “commando”. Hitler s’illudeva di avere a disposizione un gran numero di effettivi e di mezzi (un’illusione che lo accompagnò fino alla fine) e invece si trovarono poche decine di soldati bilingue, due carri armati US malfunzionanti e diverse jeep “beutefahrzeug” (bottino di guerra), che erano molto apprezzate dai “nazi”: le uniche che diventarono operative. I tedeschi camuffati riuscirono a causare danni minimi, tuttavia l’idea che ci fossero in giro nemici travestiti preoccupò grandemente gli Alleati che reagirono piazzando numerosi posti di blocco, dove fermavano le jeep sospette (quattro uomini sullo stesso mezzo era già un indizio, di solito gli americani non erano più di tre) e interrogavano chi era a bordo. Chi non sapeva rispondere in “slang” a domande su fatti tipici della vita d’oltreoceano veniva arrestato, finché non riusciva a provare la propria identità. Il generale Omar Bradley v’incappò e fu tenuto a lungo sotto tiro perché alla domanda “qual è la capitale dell’Illinois?” rispose correttamente “Springfield”, quando la maggioranza degli americani (polizia militare compresa), crede che sia Chicago. Vi incappò anche il generale Bruce Clarke, sospettato perché sbagliò a rispondere a una domanda di sport. Andò anche peggio al generale britannico Bernard Montgomery (il popolare “Monty”, vincitore della Campagna d’Africa) che tentò di forzare il blocco e minacciò le sentinelle di Corte marziale; allora queste spararono alle gomme, lo insultarono pesantemente e lo tennero prigioniero per ore in un fienile, finché non arrivò qualcuno a garantire per lui. Eisenhower, comandante in capo delle truppe Alleate, spesso in contrasto con Monty (il quale lo criticava e si era più volte proposto per subentrargli), saputo dell’episodio, commentò che era la cosa migliore che fosse mai riuscita a Skorzeny. Per la verità il nazista seppe fare ancor meglio alla fine della guerra, quando riuscì ad evitare la forca e la detenzione; fu dichiarato libero, ma preferì comunque trasferirsi in Spagna, dall’”amico” Francisco Franco. Naturalmente, i tedeschi “finti americani” della battaglia delle Ardenne erano dotati di documenti falsi, comprovanti la loro appartenenza alle forze armate degli USA: erano stati redatti in inglese a imitazione di quelli autentici, trovati indosso ai prigionieri catturati dall’esercito tedesco. Qui ci si confronta con una realtà che è al limite delle barzellette sull’eccesso di pignoleria dei teutonici. I documenti originali, stampati in milioni di copie, contenevano un errore di grammatica che era a conoscenza di tutti i militari americani. Uno dei tedeschi infiltrati fu riconosciuto perché, diligentemente, l’estensore del suo falso aveva provveduto a correggerlo.