Mentre le passerelle si affannano a presentare le proposte per il prossimo autunno/inverno, per la bella stagione abbiamo già una vincitrice: la minigonna a vita bassissima di Miu Miu, possibilmente coordinata con il suo sopra alquanto striminzito o, quantomeno, con un altro top altrettanto minuto.
Nemmeno il tempo, insomma, di rilassarsi in un capo a vita alta, in grado di guardarci le spalle e soprattutto i lombi, in caso di seduta, e di tessere le lodi di quanto qualche centimetro in più slanci il fisico e nasconda eventuali imperfezioni, che si ripiomba in uno dei tormentoni del 2000.
Inutile far finta di nulla, quel capo della geniale signora Miuccia è ovunque: a -10 gradi a New York su Chiara Ferragni, che, viste le temperature, preferisce scegliere come accessorio una confezione di Imoidum più che una borsetta. Il suo ventre scolpito fa da contraltare a quello più morbido della modella plus size Paloma Elsesser, che, immortalata sulla cover di I-d, afferma nella relativa intervista «Non indosso abiti elasticizzati, indosso Miu Miu».
La stessa gonnellina plissettata e sforbiciata è apparsa addosso a Zendaya e Laura Stone e anche su una boomer come Nicole Kidman, nella recente e criticata copertina di Vanity Fair dedicata a un evento prestigioso come gli Academy Awards. C’è persino un account Instagram che segue le gesta di questo ormai mitologico outfit: si chiama @miumiuset ed è stata ideata da una stylist.
Intanto, va detto, la gen Z su TikTok da tempo celebra i crop top, ma i pareri di filiformi ragazze della gen Z sembrerebbero, su questo social, un po’ contrari al ritorno, in abbinata, della vita bassa.
Proprio una tiktoker, del resto, è stata recentemente redarguita in modo poco gentile da una sua professoressa. La ragazza del liceo Righi di Roma è stata beccata con l’ombelico in vista e apostrofata come “una che sta sulla Salaria”, nota arteria della Capitale dove, oltre al traffico, è possibile incontrare ragazze che vendono il loro corpo. Uscita infelice di una che fa un mestiere difficile e paragone alquanto pesante che sottende una domanda: esiste ancora un dress code? Ci sono, insomma, luoghi dove bisognerebbe mantenere un certo contegno vestimentario, anche in un’era in cui le tendenze sono saltate in aria e la libertà di espressione (almeno estetica) sembra farla da padrona?
Seduti sul divano a guardare Sanremo abbiamo applaudito il look fluido della maggior parte dei cantanti, lodando la gonna lunga a portafoglio firmata Fendi di Mahmood, le camicie di impalpabile organza ricamata by Valentino di Blanco e, poi, immaginando su di noi i manicotti di Michele Bravi, prendendo spunto dagli outfit di Highsnob e Hu e impazzendo per lo smokey leggermente sbavato dei Maneskin. Quelli outfit sono sembrati assolutamente e semplicemente fantastici, in grado di raccontare chi li indossava e il suo modo di essere.
Eppure solo a gennaio i poliziotti di alcune questure italiane protestavano per le mascherine che gli erano state date. Il motivo? Erano rosa e, secondo loro, non facevano onore alla divisa.
E a questo punto viene da chiedersi se ci sia uno scollamento, se la moda può davvero indicare una strada o, se invece, rimane uno spettacolo, pur piacevole, ma fine a se stesso, una provocazione da artisti, da esibire su un palco, ma non nella vita reale. Quella dove ai neonati maschi sono riservati tutine e festoni per il battesimo di un delicato azzurro e alle femmine il corrispondente corredo, ma in un dolce rosa, sia chiaro.