“Pensati Libera” è la scritta apparsa sulla stola creata da Maria Grazia Chiuri per Dior sull’abito di Chiara Ferragni a Sanremo. Una frase che ha focalizzato ancora una volta l’attenzione su noi donne, sulla nostra libertà personale, lavorativa, intima, sentimentale. E proprio dallo stesso palco del Festival di Sanremo il vincitore Marco Mengoni ha fatto notare l’assenza di donne ai primi cinque posti della classifica dei finalisti “Ci sono rimasto un po’ male, oltreoceano ai vertici delle classifiche sono tutte donne, non ho capito perchè da noi no”.
A conferma di questa osservazione arriva la partecipazione di Rihanna al Super Bowl, che ha svelato a sorpresa una nuova gravidanza . A Nadeska Alexis di Apple Music la cantante ha dichiarato prima della sua performance “Quando mi hanno chiamato per farlo mi sono chiesta: “Sei sicura?”. Sono al terzo mese post parto , dovrei prendere decisioni importanti come questa adesso? Come se potessi pentirmene. Ma quando diventi mamma, succede qualcosa che ti fa sentire in grado di affrontare il mondo, di fare qualsiasi cosa. E il Super Bowl è uno dei palcoscenici più grandi del mondo. Quindi, per quanto sia stato spaventoso perché non salgo su un palco da sette anni, c’è qualcosa di esaltante in questa sfida. Ed è importante per me farlo quest’anno. È importante per la rappresentazione, è importante che mio figlio lo veda.” Lei stessa è stata il manifesto di una donna moderna che affronta uno show incredibile (avete mai visto in Italia una donna incinta essere protagonista di uno spettacolo ? Se si vi prego indicatemela).
Il tema femminile è incalzante ma gli stereotipi e le difficoltà restano sempre le stesse da anni e vengono ciclicamente tirate fuori a seconda dell’algoritmo della comunicazione. L’ Assessora Alessia Cappello ha lanciato un interessante progetto di mentoring nel comune di Milano, un percorso di empowerment femminile al quale hanno partecipato 250 donne (tra le quali anche la sottoscritta) che avranno il compito di creare alleanze, attraverso incontri che ispirino le giovani e le aiutino a scegliere per il loro futuro. Una buona idea, che rafforza e promuove il macro tema dell’inclusione e delle opportunità di genere. Rizzoli Education ha lanciato una campagna di empowerment Glow Up, un percorso dedicato alle donne per favorire l’affermazione di uno stile commerciale di leadership sempre più femminile e inclusivo, per creare consapevolezza sul proprio valore, flessibilità, per dare forza alle donne nel compiere scelte significative, e fiducia per il potenziamento delle proprie capacità personali.
Ci siamo chiesti se alla luce delle tante iniziative nel mondo della moda stia cambiando qualcosa e se le donne siano effettivamente a parità e merito considerate. Hanno un ruolo operativo? In quali settori? Come mai ci sono sempre meno donne direttori creativi ? Le donne sono strategiche per il successo di un brand e in che settore? Abbiamo interpellato alcuni autorevoli opinionisti della stampa italiana, chiedendo loro un piccolo quote che siamo certi vi offrirà diversi punti di riflessione.
Quando c’erano parecchie donne stiliste – penso a Vionnet, Chanel, Schiaparelli, Madeleine Rouff, Lanvin, Germana Marucelli etc…- si appoggiavano agli stilemi maschili oppure agli artisti (maschi) del loro tempo. Il problema è che le donne nella moda come in altre industrie seguono le modalità maschili nel fare e nel gestire. Salvo rare eccezioni (Vionnet e oggi, Daniela Gregis) vogliono disegnare donne-dee per il piacere del maschio. Seguono le regole di quello che è per loro l’idea di bellezza e di sensualità. Così facendo le donne nella moda producono indumenti visti dal punto di vista maschile. Vale per il casual, gli sport, per gli abiti importanti o per il tailleur.Il fatto è che non esiste ancora un punto di vista femminile, ma solo un adeguamento al conformismo che induce tutte le donne a volere essere Come-Tu-Mi-Vuoi. Piano, piano. Ma arriverà il giorno in cui il femminile si esprimerà nella sua piena autenticità.
La conquista della parità è ancora lontana. Temo che sia indispensabile ancora un’altra generazione, perché alle donne sia riconosciuta la stessa importanza degli uomini. In altre parole, se ne riparla quando i ventenni di oggi compiranno quarant’anni….
La moda riflette abbastanza quello che capita nel mondo, quello più evoluto dove le donne con grande fatica stanno affermando un principio di parità difficile da digerire per una società patriarcale, come è ancora l’Italia, e parte dell’Europa. Le donne si distinguono nella creatività, nella comunicazione, nella gestione, ma i numeri sono ancora a loro sfavore. Solo un quarto dei consigli di amministrazione del fashion made in Italy è <rosa>, mentre in Europa la situazione è decisamente migliore, soprattutto in Francia (più del 40% di donne nei board). Insomma, la tentazione è sempre quella di lasciare le donne in vetrina, a creare, a fare il lavoro duro, ma poi a decidere sono sempre gli uomini.
Benché le donne che occupano ruoli nella cosiddetta C suite siano aumentate, un dato che monitoro ogni anno insieme con PwC nell’ambito della ricerca che sviluppiamo insieme e che “Il Foglio della Moda” presenta ogni prima settimana di maggio, le donne nella moda che non siano imprenditrici, ma manager, occupano ancora prevalentemente posizioni di pura operatività nella manifattura. La manovalanza nella moda è ancora e in buona parte femminile, come centocinquant’anni fa. Si registrano molte donne anche nei ruoli e negli uffici diciamo di supporto all’attività della moda – in prevalenza il legale e la finanza – che consentono a professioniste altamente qualificate di poter conciliare – verbo che detesto perché presuppone un immane peso, e come in effetti è – il lavoro con la cura della famiglia che in Italia, purtroppo, è quasi interamente affidata alle donne. Ci sono ruoli che impongono viaggi costanti da cui le donne nella moda sono praticamente escluse a meno che non accettino di sacrificare la loro dimensione personale o possano contare su un supporto remunerato e costante a casa: il buying, la direzione commerciale. Che sono anche le posizioni da cui, oggi, si fa più facilmente carriera. Però, per fortuna, le cose stanno cambiando anche di fronte all’evidenza dei risultati di manager come Francesca Bellettini, ceo di Saint Laurent, di Francesca di Carrobio, ceo di Hermès, di Benedetta Petruzzo, ceo di Miu Miu, di Daniela Bricola, general manager di McArthurGlen. Certo, non conosceremo mai i loro equilibrismi per “fare tutto” e “have it all”, e di certo sarebbe importante che le chance di migliorare le proprie posizioni lavorative venissero offerte a molte più donne grazie a politiche nazionali più efficaci e favorevoli, ad aziende che non ritengano l’asilo aziendale un’alternativa minoritaria rispetto all’accoglienza di fido, ad imprenditori che sostengano nella maternità le proprie collaboratrici, pensando magari che potrebbero essere le loro sorelle o le loro figlie. Sto scrivendo questo breve intervento dal treno. L’imprenditore dell’informatica accanto a me, marcato accento bolognese, capelli tinti, racconta della collaboratrice “che glielo ha messo in quel posto usando un preservativo bucato”. Cose che non avrei voluto ascoltare più. E che invece ascolto di continuo. Ancora.
Mi ha sempre colpito che siano in maggioranza gli uomini a creare lo stile delle donne o a manovrare il business dei vestiti e degli accessori delle donne. Qualche eccezione di spicco c’è, ma viene sempre considerata un’anomalia da applaudire e includere nelle inchieste sull’empowerment femminile. Raggiungeremo veramente la parità quando non ci accorgeremo del sesso di chi è al comando, ma sappiamo che l’emancipazione femminile, con l’onorare le nostre ambizioni, è lontana dall’essere raggiunta nonostante i molti passi avanti. Certamente più signore nella moda, come dimostra il caso di Maria Grazia Chiuri, produrrebbero un linguaggio vicino ai desideri reali delle donne per uno stile che sia cool, chic e sexy, con misura.
L’universo femminile, negli ultimi decenni, si è talmente espanso, è diventato variegato, enorme: non mi sento più di dire “le donne” perché al nostro interno c’è una tale diversità di caratteri, stili di vita e dunque di idea di moda per ognuna di noi che è impossibile generalizzare.
Credo però che la storia abbia dimostrato quanti stilisti uomini possano essere in sintonia con le donne che scelgono di vestire e quanto questo idem sentire porti a grandi successi.
Nell’industria della moda contemporanea, le influencer hanno imposto la loro voce. Piaccia o no, sono spesso loro a scatenare tendenze e quindi ad agitare il mercato.
I giornali, invece, oggi sempre meno rilevanti, sono in buona parte, almeno in Italia, diretti da uomini e, anche se vedere qualche donna in più ai vertici non mi dispiacerebbe, credo che il problema della crisi dell’editoria non stia nel sesso di chi dirige le testate ma nella obsolescenza del prodotto stesso e delle abitudini di acquisto.
“Meno donne” in senso anagrafico? Domanda retorica, perché ormai ci sono tante espressioni sessuali. Infatti, abbiamo avuto anche una stilista transgender: la simpatica contessina Manganaro. Comunque, non credo sia una questione di maschilismo ma di talento. I poli del lusso sono interessati solo a un risultato: il “cassetto”. E in questa logica spietata, vedi il balletto parossistico di direttori artistici, “il fine giustifica i mezzi”. Parola di Niccolò Machiavelli.
Il fatto che mi sia così difficile rispondere a questa domanda è perché il tema è più inesplorato di quanto si creda. Di primo acchito mi viene da dire che le donne hanno un ruolo importante nel settore, se penso a figure come Miuccia Prada, Phoebe Philo o Anna Wintour. Poi però ripenso a una recente intervista con una designer riconosciuta nell’ambiente che mi confidava il suo sogno per il brand per cui ora disegna e che è guidato da donna. Il vero grande traguardo, a suo dire, sta nel dimostrare coi risultati che una direttrice creativa e una ceo donna possono avere successo insieme. Se noi donne ancora ci sentiamo in dovere di convincere il mercato delle nostre capacità, allora forse in quel mercato ancora molto deve cambiare.
Che si parli di creatività o di leadership femminile, io credo in quello che definirei il soft power dell’immaginario. Tanto più nella moda (come nell’arte, nel cinema, nei giornali) dove la narrazione conta quanto il prodotto, creiamo racconti che sono direzioni, mondi che sono sogni realizzabili (magari a lungo termine), a volte indossabili e calzabili come una nuova identità, altre volte interiorizzati come role model, occasioni di immaginarsi diversamente. In questo senso, lavorare sull’immaginario è strategico per il cambiamento e il lavoro delle donne è cruciale: lo dico con l’orgoglio di far parte del primo gruppo editoriale certificato per la parità di genere (rilasciato da Bureau Veritas, ai sensi della UNI/PdR 125:2022).
Il ruolo delle donne nella moda non è mai stato cosi determinante come adesso. Incredibilmente, salvo rare eccezioni ( Coco Chanel, Schiaparelli , Mary Quant…)l a moda è sempre stata guidata da uomini, erano loro i creativi, alle donne era riconosciuto un ruolo dietro le quinte! Grazie a Maria Grazia Chiuri, per Dior, Clare Waight Keller per Givenchy , Natache Ramsay Levi per Chloe finalmente la creatività è anche DONNA e questo ha un forte impatto sul mondo e il costume in generale. La sensibilita femminile apre altri orizzonti, qualcuno ha detto: L’abito è un manifesto, quindi chi meglio di una donna puo interpretare quello che siamo e, soprattutto, vorremmo essere!
Se si guarda a stiliste, creatrici, couturier, designer, le donne sono sempre state presenti. Anzi: nella sua forma primordiale, quello della sarta è sempre stato uno dei lavori più tradizionalmente femminili, come è ancora in molte culture. Anche dietro al nostro “made in Italy” vive e si mantiene un esercito di petites mains che arrotonda le entrate famigliari lavorando come terziste, in nero e spesso in casa.
Se si guarda invece ai ruoli manageriali, mi pare che anche il mondo della moda rifletta il modello italiano: ormai parecchie donne nel middle management, nella comunicazione e nel marketing ma poche nei ruoli rilevanti ai fini del business (finanza, sales, HR, IT) e pochissime in cima. Tolta la stella fissa di Francesca Bellettini in YSL (KERING, dunque società francese davvero da sempre in prima linea per la parità di genere), tolta qualche erede storica di marchi importanti o figlia di papà che non ha dovuto misurarsi con fratelli maschi, l’affermazione, per le donne, è ancora difficile, come ovunque.
Ma i numeri le sostengono: le ragazze stanno uscendo numerose e preparate da corsi di laurea, master, corsi di formazione post universitari. Studiano, amano il settore, lo frequentano sin da piccole, lo indossano e lo portano a spasso tutti i giorni, è nei loro sogni e nelle loro aspirazioni. Stanno arrivando, in massa. Io le vedo, le sento e le aspetto con ansia.