«La richiesta di Fca Italy di accedere alla garanzia Sace a supporto di un prestito di 6,3 miliardi, misura prevista dal decreto Rilancio, è assolutamente legittima, hanno i requisiti per farlo e dal punto di vista industriale è la decisione giusta. La misura così costruita con Intesa San Paolo è un effettivo aiuto anche alla filiera poiché prevede l’apertura di conti correnti diretti per i fornitori su cui affluisca la liquidità. Il dibattito su questa vicenda che avviene anche in sede politica ,è assolutamente sterile».
Alfredo Altavilla che per 28 anni si è occupato del settore automobilistico, di cui 6 come responsabile di Fca Emea, oggi presidente di Recordati e senior advisor del Fondo CVC attivo nel settore della componentistica auto attraverso Conceria Pasubio, prende la parola per chiarire le molte discussioni che sono scaturite sul tema . «Anche le sedi legali e fiscali di Fca non hanno alcun peso, altrimenti dovremmo discriminare tutte le richieste di supporto fatte dalle sedi italiane di multinazionali estere, quello che conta è la salvaguardia dei posti di lavoro e il fatturato e gli investimenti realizzati all’interno del nostro Paese dove Fca ha 40 mila addetti e 5 fabbriche solo di auto. Non dobbiamo dimenticare che, nell’auto, qualunque nuovo progetto ha una logica di investimento pluriennale».
Basta questo per risollevare il settore dell’auto?
«No, non basta, il problema principale per far ripartire, in questo momento, il settore dell’automobile nel nostro Paese è aiutare la domanda. Vi sono 350 mila vetture stoccate nei piazzali di tutti i costruttori, devono essere vendute prima che si inizi a produrre delle nuove automobili. Lo stimolo al settore parte dallo stimolo della domanda che deve essere differenziata per i privati e per le aziende. Per queste ultime è necessario subito porre rimedio alle detraibilità dell’Iva che solo in Italia è ridotta al 40% quando, in ogni altra nazione europea, è al 100%. Per i privati deve essere- finalmente – varato un piano serio di incentivi che consenta da un lato lo svecchiamento del parco circolante, dall’altro deve considerare misure che facilitino l’acquisto anche a chi ha auto molto vecchie ed è quasi certamente oggi alle prese con difficoltà economiche. È un grande sforzo che coinvolge non solo lo Stato ma anche le case e i concessionari. Servono logiche di finanziamento innovative per consentire l’accesso all’acquisto».
Agevolazioni aperte ad ogni tipologia di propulsione?
«Questo dibattito sugli incentivi deve avvenire in un contesto di neutralità tecnologica, i piazzali non sono pieni di vetture elettriche, ma di vetture benzina e diesel perfettamente in regola con le emissioni Euro 6d-Temp, dobbiamo abbandonare queste velleità ideologiche ed evitare che gli incentivi riguardino solo l’elettrico, così il problema non si risolve. Per far ripartire concretamente il settore serve pulire il canale da tutto quello che c’è in stock, ossia ogni auto in regola con le emissioni deve essere incentivata».
Il sistema industriale italiano è compromesso?
«Nelle emergenze, come questa del Covid-19, il ricorso al debito è sempre la strada più veloce se la burocrazia non si mette di mezzo, come invece sta accadendo ma perché la ripresa riguardi il lungo termine si deve pensare ad immettere nuovo capitale di rischio. Il rallentamento del ciclo economico e la conseguente minore generazione di cassa metterà nei prossimi anni in crisi le aziende che dovranno rimborsare il debito addizionale contratto in questo periodo. Ecco perché è necessario sollecitare gli oltre 3.000 miliardi di euro di risparmio in attività nette degli italiani da far affluire, almeno parzialmente, in strumenti a sostegno degli investimenti, sia infrastrutturali che industriali delle aziende. Si può fare in diversi modi ma servono decisioni rapide e modalità snelle».
Quale altra soluzione?
«Questa può essere un’occasione unica per istituire anche in Italia o in collaborazione con altri Paesi europei, con la stessa necessità, un equivalente dei Fondi Sovrani medio-orientali e asiatici, destinato ad investire nel capitale delle aziende, con una logica di lungo termine e senza coinvolgimenti nella gestione. Fondi siffatti possono essere collocati in equity come in obbligazioni delle aziende, oppure oggetto di investimento dedicato a progetti specifici, assicurando così a questo risparmio un corretto bilanciamento rischio/rendimento. Le patrimoniali, oltre ad essere un esproprio insopportabile, tappano i buchi della finanza pubblica ma non creano valore nel lungo termine, qui dobbiamo chiedere agli Italiani di credere nella rinascita industriale del nostro Paese ma di ricavarne una contropartita economica che porterà, si spera, a dare origine a nuovi posti di lavoro».