Auto

Apr 17 …TANTE SPINE…

di Bianca Carretto

Le spine dell’auto

Produzione in calo, cessioni e linee ferme

Stellantis, i posti a rischio e il nodo dei nuovi modelli

Il campanello d’allarme è arrivato dal segretario generale Fiom Cgil, Michele De Palma, che a fine marzo ha presentato uno studio sulla situazione industriale italiana del settore auto, passato «dal produrre circa 1.500.000 veicoli alla fine degli anni 90 a 473 mila del 2022» (oltre 250 mila sono Ducato). L’Italia è ad un bivio, pur essendoci ancora una rete di imprese che hanno la capacità di lavorare con competenza e qualità, e malgrado «il processo di desertificazione industriale in atto non c’è alcun aggancio con la realtà in termine di politiche pubbliche».

Il peso dell’Italia sul fronte dell’auto, nel quadro della Commissione Europea, diventa sempre più fragile e sembra favorire Francia e Germania. Paesi che hanno uno spazio fiscale per gli aiuti di Stato per i settori che sostengono la transizione ecologica (batterie, idrogeno, carbonio, energie rinnovabili, e-fuel), creando una frattura proprio con l’Italia che ha maggiori vincoli di spesa nel costruire il suo passaggio green.

Uno degli snodi del rischio di decadimento della nostra manifattura potrebbe risalire all’ottobre del 2019 con la fusione tra Fca e Psa da cui è nata Stellantis, che proprio nei giorni scorsi ha annunciato un utile record di 16,8 miliardi. La decisione di confermare la sede legale in Olanda può essere considerato un segnale della distanza. Mentre la fusione ha spostato molto l’asse della gestione verso Parigi. Le leve del ceo Carlos Tavares, considerato uno dei manager dell’auto più competenti, ma anche più duri, stanno mostrando un gruppo che vede una forte centralizzazione. Dove il ruolo dell’Italia assomiglia sempre di più a quello della Germania nei confronti del marchio Opel, ceduto a Stellantis. Un altro passo è stata la cessione di Magneti Marelli, passata ai giapponesi della Calsonic Kansei. Un gioiello della componentistica, determinante nella futura visione della mobilità indirizzata all’elettrico, a cui si aggiunge la digitalizzazione, la guida autonoma, l’intelligenza artificiale, un patrimonio tecnologico che era da sempre strettamente collegato al Centro Ricerche Fiat (un esempio per tutti fu lo sviluppo del common rail che modulava l’iniezione di gasolio nel motore, venduto nel 1994 alla Bosch), società per cui oggi non vi è certezza che avrà un ruolo nelle strategie future del gruppo. Poi la cessione di un ramo di Teksid (componentistica in ghisa) ai brasiliani di Tupy sta a significare una progressiva dismissione anche di questo business. Una situazione che si riflette sugli stabilimenti lungo tutto lo stivale: Mirafiori, a questo punto completamente spacchettata, dal primo gennaio ad oggi ha già effettuato 32 turni di cassa integrazione, che hanno coinvolto circa 1.800 operai.

Cassino evidenzia il suo declino con una produzione ridotta a 5 mila unità al mese: pur avendo in affidamento tre modelli — Alfa Romeo Stelvio e Giulia, Maserati Grecale — sono già stati effettuati 33 giorni di chiusura, con 3 mila operai in carico ( minimo storico) a causa delle vendite (le immatricolazioni di Fca e di Psa prima della fusione erano superiori a quelle dell’attuale Stellantis).

A Pomigliano d’Arco si viaggia a una media di 15mila veicoli mensili — Alfa Romeo Tonale, Dodge Hornet, Fiat Panda — con cassa integrazione di 20 giorni dall’inizio dell’anno. Anche Melfi cammina a ritmo ridotto, le linee sono ferme per oltre 6 mila dipendenti, sino all’agosto 2023, per i quali è scattata la cassa integrazione. La produzione della Fiat 500X è destinata a finire e non si conoscono ancora quali modelli potrebbero sostituirla. Un panorama che vede il governo non abbastanza impegnato sul fronte dell’auto. Che rischia di perdere almeno 9 mila posti di lavoro.

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