Un paio di stringhe lacere. Da lì parte il mio ricordo affettuoso e riconoscente di Beppe Modenese. Il mio amico Piero Chiambretti che era al corrente dell’episodio, lo ricordò durante una premiazione del Chi è Chi, raccontando che il Primo Ministro della Moda, aveva lasciato fuori da un evento un giornalista perché aveva le stringhe rotte. “Non faccio nomi – disse quella peste di Pierino ma solo cognomi – Gianluca Lo Vetro”. Beppe annuì. Ma i fatti andarono diversamente. Giovane studente squattrinato, il sottoscritto raccoglieva i soldi per la retta della Statale, facendo lavoretti saltuari. Ivi compreso il tuttofare del Mipel che era già un traguardo. Perché i ragazzi avventizi venivano selezionati tra i figli di buona famiglia. Tra i miei colleghi con la tuta di ordinanza bianca e poi rossa, c’era anche Alessandro Modenese, nipote di Beppe.
Tra i vari compiti, oltre a caricare, scaricare e distribuire i cataloghi, c’era anche quello di controllare le tessere all’ingresso. Un giorno toccò a me questa incombenza. All’improvviso arrivò Modenese pr della manifestazione, la cui sola vista faceva tremare l’orlo delle mutande a tutti. Notai che mi lanciò un‘occhiata fugace. Pochi minuti dopo, fui spostato ad altri incarichi. “Il signor Modenese – motivò l’organizzazione – ha detto che non puoi stare alla porta perché, hai le stringhe delle scarpe sporche e rotte”. Non mi offesi affatto. Anzi feci tesoro di quella paternale. Riflettei su quanto il mondo della moda che era già la mia meta, fosse fatto d’immagine e di piccoli dettagli.
A partire dalla porta dove adesso dilaga spesso l’arroganza. In compenso, nell’87 quando iniziai a scrivere per l’Unità proseguendo ancora per qualche anno la mia collaborazione col Mipel, la signora Ling ferreo braccio destro di Modenese, volle che scrivessi il stampa per il Mipel: il mio primo. Grande gratificazione per le mie ambizioni giornalistiche. Da allora ho sempre considerato il signor Modenese una sorta di mentore. E credo non a torto. Perchè a parte il suo stile personale e ineguagliabile, è stato “la” e non “una” colonna del made in Italy: l’unico riuscito a riunire gli stilisti sotto una sola insegna, Milano Collezioni, dando vita al fenomeno mondiale del made in Italy. I politici di oggi forse avrebbero qualcosa da imparare: l’unione fa la forza. Specie in tempi di Covid 19.
Ho conosciuto anch’io Modenese, in anni ruggenti, e me ne ricordo con affetto per la sua finezza e signorilità di modi. Unica nota particolare, e osé, l’abbinamento singolare delle sue camicie e cravatte, come si vede anche nella foto con Chiambretti: a quadretti la prima, avventuroso ‘regimental’ la seconda; oppure colletti bianchi su camicie azzurre, ecc. Una volta, a Napoli, lo invitai ad una mia conferenza su una rara, grande veduta seicentesca della città, al Circolo Artistico Politecnico; venne, ascoltò, e si complimentò. Erano i tempi in cui anche alcuni architetti, come me, si affacciavano all’avventura della moda, a partire dall’indimenticato Gianfranco Ferré. Condivido il giudizio di Lo Vetro: Beppe Modenese – che faceva coppia, per il Mipel, con Roberto Cascinari, patron della AIMPES, cui dovemmo, grazie anche a Guido Orsi, l’ingresso in quello che era l’esclusivo mercato internazionale della pelletteria – è stato il coordinatore di un mondo di produttori che allora andava un po’ troppo per conto suo, ed ha inventato così il ‘made in Italy’. Ne troveremo un altro, che sappia cavalcare l’animale imbizzarrito del marketing e la finanziarizzazione del settore?…