Siamo ancora in parecchi a ricordare come si svolgevano gli Esami di Teoria per conseguimento della Patente di Guida ormai molti anni or sono. Si rischiava di essere bocciati perché non si conoscevano in sequenza le quattro fasi del motore a scoppio o lo schema del circuito di raffreddamento. Gli orali si svolgevano nella sede della Scuola Guida e capitava di poter osservare le persone in procinto di essere esaminate, sedute come fossero nella sala di attesa di un ambulatorio, intente a ripassare il Manuale o a parlare sottovoce con fare preoccupato. C’erano i “ripetenti” che raccontavano com’erano “caduti” sul differenziale, gli esperti (prevalentemente maschi) che si ingegnavano a spiegare all’ultimo momento il funzionamento del carburatore alle esaminande chiaramente “nel pallone”, i fatalisti, i rassegnati e persino i “complottisti” ante litteram (“se non sei raccomandato…”). Il giorno del mio esame (anno 1961), tra le persone convocate c’era anche una monaca che non sollevò gli occhi da un libriccino, immagino di preghiere, che fu certamente più efficace del Manuale, perché la suora superò agevolmente il colloquio con l’esaminatore. Dal momento che le automobili di oggi sono molto spesso, dal punto di vista meccanico (e non solo), completamente diverse da quelle descritte dall’ormai famoso Manuale, la mia patente e quella dei miei coetanei dovrebbero essere invalidate da tempo e noi avremmo dovuto iscriverci a un nuovo corso di Scuola Guida, dove apprendere il funzionamento degli impianti a iniezione, delle marmitte catalitiche e, ormai inevitabilmente, dei motori elettrici, con tanto di voltaggi e amperaggi. Per fortuna non è così ma, riflettendoci, viene da chiedersi se, all’epoca, al Ministero dei Trasporti e alla Motorizzazione Civile e nelle Scuole Guida fossero tutti matti. In un certo senso la risposta è sì; basti pensare che con la mia patente, senza essere mai montato in sella, si poteva andare in giro in motocicletta, cosa evidentemente assai più difficile che guidare un’automobile, se non altro per motivi di equilibrio. Si era poi autorizzati a viaggiare in autostrada nonostante che, durante le “guide” con l’istruttore a fianco e in quella dell’esame, si facessero il giro del quartiere e una manovra di parcheggio, senza mai superare i 50 km/h. Non era nemmeno pensabile che si eseguisse un sorpasso o un intervento di emergenza come la sostituzione di una ruota. La “prova del fuoco”, inevitabile, era la famigerata e leggendaria “svolta a sinistra in un incrocio tra strade a doppio senso di marcia” (per dirla alla Fantozzi) nelle sue temutissime varianti possibili: senza semaforo e senza segnaletica, senza semaforo ma con segnali di stop (o di precedenza), con semaforo generico, con semaforo dotato di frecce direzionali; il tutto complicato dall’eventuale presenza di corsie di incanalamento. Qui cadevano quelli che dimenticavano di mettere per tempo la freccia, quelli che non si spostavano in anticipo al centro della carreggiata, quelli che non davano la precedenza a chi proveniva in senso opposto, quelli che giravano senza lasciare alla propria destra il centro dell’incrocio. Personalmente, per quanto mi sentissi preparato, usai la strategia di seguire in bicicletta per qualche giorno il percorso delle auto con l’esaminatore a bordo: era sempre lo stesso, facilmente memorizzabile, che tale si mantenne anche quando toccò a me. Tutto qui, ma per quanto riguarda certo nozionismo assurdo oggetto dell’esame orale, oggi ce ne possiamo meravigliare, ma a quei tempi era un po’ la regola, non solo nel piccolo mondo della patente di guida, ma anche nella scuola, dalle elementari alle università, e in generale in tutti gli ambiti della vita sociale. Questo perché, nel caso del conseguimento della patente, si mettevano sullo stesso piano la tecnica e la sicurezza, quando invece quest’ultima è di gran lunga più importante. Chiedere a un aspirante automobilista cos’era e come funzionava lo spinterogeno è come pretendere che chi compra una lampadina sappia la legge di Ohm, quando in tutta la sua vita non farà che premere degli interruttori.
Carlo, complimenti, un piacevolissimo amarcord che suscita emozioni dimenticate, ma nel contempo un pezzo ricco di tante osservazioni che invece sono assolutamente razionali. Sei sempre sul lago Maggiore? Mi piacerebbe passare a salutarti, appena saremo tutti più tranquilli.
Ti ringrazio molto caro Enrico. Ti aspetto e preciso che sto a Menaggio, sul lago di Como. Ciao